A Gotham, come Bob Kane decise di ribattezzare la città del suo Batman nel 1939, girano sorci, i super- ratti, che neppure nella Roma di Virginia Raggi e la sanità è stata smantellata peggio di quella del Lazio nel corso della presidenza Zingaretti. La spazzatura invade la metropoli, colpa di uno sciopero però, e la disoccupazione falcidia giovani e attempati.

La Gotham dei primi anni ' 80, nei quali sembra essere ambientato Joker, il film di Todd Phillips premiato col leone d'oro a Venezia, non è la New York di oggi e neppure quella degli ' 80. Somiglia casomai alla città devastata del decennio precedente, e c'è chi ha visto in questo un ulteriore omaggio del regista al Taxi Driver di Martin Scorsese. Non è un particolare secondario, dal momento che dopo l'uscita del film, arrivato anche nelle sale americane solo la settimana scorsa, sono diluviate critiche imperniate per lo più sul paragone con il capolavoro di Scorsese. Quello sì che era un gran film. Questa è robetta d'imitazione.

Però, anche se gli omaggi a Scorsese abbondano, le citazioni da Taxi Driver e da Re per una notte, ma anche un po' da Toro scatenato, ci sono davvero e la presenza di De Niro sigla la lettera d'amore al maestro, Joker non è affatto una sorta di remake camuffato di Taxi Driver e l'Arthur Fleck interpretato da un grandissimo Joaquin Phoenix non è un versione rivisitata dell'indimenticabile Travis Bickle di De Niro.

Arthur, clown da feste senza talento, è una vittima. Non in senso lato, come il Travis del 1975. Non solo dell'arido e impersonale sistema che rende invisibile e ignorato chiunque soffra di disagio o alienazione, salvo poi salutarlo come un eroe quando esplode in una fiera della violenza omicida che colpisce chi quello stesso sistema indica come parassiti e nemici. Arthur è vittima di persone e istituzioni specifiche e reali, che lo rendono quello che è e poi, una volta trasformatolo in rottame, lo ignorano, lo deridono, lo abbandonano, lo dimenticano. Lo vogliono come giullare. Gli chiedono di sorridere, esattamente come nella più celebre canzone composta da Chaplin che è la vera chiave del film di Phillips, Smile.

Arthur ci prova, come da disposizioni di mammà. Sceglie di sorridere nonostante il dolore. La sua tragedia, messa in scena con ispirazione eccezionale da Phoenix, non è l'alienazione ma il tentativo di ignorarla, di fingersi normale e persino contento, di rimuovere la sofferenza. La Gotham di Phillips ha le fattezze smantellate della New York del 1975 ma l'anima di una qualsiasi città occidentale del 2019, nelle quali a tutti è richiesto di andare avanti come se nulla fosse, ignorando i guai, la povertà, le umiliazioni, nascondendo l'insoddisfazione e la rabbia dietro il sorriso. Joker, destinato a diventare il grande nemico di Batman, l'archetipo del nichilismo, il criminale che distrugge non per arricchirsi ma per sfogare la propria passione incendiaria, nasce, nella ricostruzione di Phillips su sceneggiatura dello stesso regista e di Scott Silver ma soprattutto nell'interpretazione di Joaquin Phoenix, come stereotipo del clown, personaggio tristissimo proprio perché costretto a mimare la gioia.

Quella di Phoenix è una perfomance straordinaria perché il film che interpreta è di quelli con un solo personaggio. Tutti gli altri, inclusa la madre che pure nella vicenda occupa un ruolo centrale e determinante, sono poco più che comparse. In Joker c'è una sola coprotagonista, anonima, letteralmente senza volto perché quasi sempre coperta con la maschera del clown: la folla, la massa, la popolazione di Gotham che sceglie di eleggere il clown assassino a proprio eroe, che ne riproduce le fattezze in maschere che somigliano quasi come gocce d'acqua a quella riprese, nella realtà, da V per Vendetta, poi attacca e devasta come i gilet jaunes francesi.

Non è la rivolta dei buoni contro il sistema di potere malvagio. Quel sistema è preso di mira davvero e Phillips rovescia l'insopportabile stereotipo del capitalista buono e umanitario da sempre appiccicata al padre di Batman per dipingerlo come uno squalo senz'anima. Ma dietro le maschere ci sono probabilmente molti di quelli che avrebbero tormentato Arthur e forse persino alcun che lo hanno fatto davvero.

E' un'esplosione di rabbia impossibile da codificare nei cataloghi noti della protesta sociale. Forse proprio questo ha portato alcune critiche, come la violenta stroncatura del New Yorker che accusa addirittura il film di razzismo e trumpismo, a sbandare di brutta. Come? Una rivolta sociale che non allude a Black Lives Matter o a # metoo? Che ha nemici ma non obiettivi, progetti, rivendicazioni?

Eppure proprio con quella rivolta serpeggiante, che a volte si infila il gilet giallo e altre volte vota per chiunque prometta di rappresentare la propria rabbia bisogna fare i conti nella modernità, salvo rinchiudersi nei fortilizi benestanti e progressisti dove non è neppure immaginabile una protesta come quella che anima non solo e forse non tanto Joker quanto i suoi fans. Ma con quel conflitto, nuovo e affrancato dai due secoli precedenti, sarà invece necessario imparare a fare i conti.