Alla fine lo show- down è arrivato: dimesso l’ultimo Consiglio di amministrazione di Ama, il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha nominato un superfedelissimo, Stefano Zaghis, come amministratore unico dell’azienda che si occupa dei rifiuti nella Capitale e, in Consiglio Comunale, ha cercato di spiegare il caos.

L’Ordinanza Zingaretti - quella emanata a inizio giugno scorso e che obbliga tutti gli impianti del Lazio ad accettare i rifiuti romani anche in deroga a norme e autorizzazioni - è stata prorogata fino a metà ottobre. Sono stati conclusi accordi con la Regione Marche che accoglierà 5mila tonnellate al mese e che, sommati alle intese con l’Abruzzo, porta il totale dei rifiuti capitolini trattati fuori Roma a 9.500 tonnellate. Il tutto fino a fine anno. Quando poi, però, chiuderà per esaurimento la discarica di Colleferro che oggi accoglie già i residui dei trattamenti delle 3000 tonnellate di rifiuti che giornalmente si producono nella Capitale. E a gennaio ricomincerà con ancor maggior gravità di oggi il problema: non basterà trovare semplicemente chi lavora la mondezza di Roma per poi scaricarla a Colleferro ma occorrerà trovare anche qualche discarica pronta ad accogliere questi rifiuti. Per inciso e chiarezza: quando si parla di discarica e rifiuti in discarica, ci si riferisce al rifiuto lavorato, trattato e separato. Va rimossa l’idea che la discarica accolga il sacchetto dei rifiuti come se lo portassimo noi direttamente.

In Consiglio Comunale la Raggi, di fronte a un’opposizione scatenata, ha spiegato la sua versione dei fatti e la sua visione del futuro. Secondo il Sindaco di Roma, in sintesi, la colpa è delle passate Amministrazioni. Vero. Avevamo già ricordato come l’Amministrazione Marino procedette alla chiusura di Malagrotta senza avere un piano alternativo, attirandoci una precisazione dell’ex Sindaco che, dagli Stati Uniti, ha parlato di «piano investimenti per una serie di impianti che stabilimmo nel 2014- 2015». Sommessamente ci permettiamo di evidenziare a Marino, il quale ci ha accusato di non documentarci, che lui chiuse Malagrotta a settembre 2013 e che il suo “piano” venne presentato ad aprile 2015. E che lui venne “dimesso” dal suo partito ad ottobre di quell’anno. E che l’allora suo assessore all’Ambiente, Estella Marino, dei 4 ecodistretti che facevano parte originaria di quel piano Ponte Malnome, Via Salaria, Rocca Cencia più un quarto mai individuato - già due erano stati depennati ancor prima di essere formalizzati dalla stessa Amministrazione Marino ( Ponte Malnome e Via Salaria).

Ma, tornando alla Raggi, se è vero che chi ha preceduto i grillini a Palazzo Senatorio non ha messo mano concreta al problema facendo i nomi: Walter Veltroni, Gianni Alemanno, Ignazio Marino - è pur vero che da tre anni il Movimento 5Stelle governa Roma. In tre anni, siamo al settimo management di Ama: Daniele Fortini, ereditato da Marino, può essere il CdA zero, ma poi ci sono stati: Alessandro Solidoro, Stefano Bina, Antonella Giglio, Lorenzo Bagnacani e Luisa Melara, prima di Stefano Zaghis. E due assessori ( e mezzo) ai rifiuti: Paola Muraro e Pinuccia Montanari prima che la delega rimanesse in capo direttamente alla Raggi. Ed è vero che in tre anni non è stato avanzato un solo progetto reale per affrontare in modo strutturale il nodo dell’impiantistica. Due progetti per due impianti per il trattamento del rifiuto organico sono stati bocciati in Conferenza di Servizi regionale proprio dagli uffici comunali.

E il resto è solo una sfilza di no. Con la Raggi, a dire il vero, che è parzialmente anche in compagnia del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

Due numeri: ogni anno a Roma si producono 1 milione e 700 mila tonnellate di rifiuti con il 45% differenziato. Per i rifiuti organici se ne producono 400mila tonnellate l’anno e l’unico impianto esistente, Ama di Maccarese, ne può trattare 30mila l’anno. Il resto, prende la strada del Veneto e del Friuli. Per inciso, recentemente, l’impianto di Maccarese ha iniziato a respingere i rifiuti perché, complice la mancata raccolta in strada delle altre frazioni, molta gente ha iniziato a inserire nell’organico anche altre frazioni. L’indifferenziato giornaliero di Roma è pari a 3mila tonnellate e gli impianti esistenti - due privati a Malagrotta e uno di Ama a Rocca Cencia - possono arrivare a smaltire un paio di migliaia di tonnellate al giorno. Il resto, va trattato altrove. Roma spedisce queste circa mille tonnellate giornaliere ovunque: in provincia di Roma a Pomezia, Civitavecchia, poi a Viterbo, Frosinone, Latina, Abruzzo, Marche. Questi impianti - quasi tutti di società private - trattano i rifiuti indifferenziati e li trasformano in combustibile da rifiuto, il “cdr”, che poi viene bruciato. Non a Roma: il Campidoglio nelle sue varie livree politiche, non ha mai voluto impianti di nessun genere sul proprio territorio. Quindi, i termovalorizzatori sono nel resto della Regione: Acea ne possiede uno a San Vittore e tratta 350mila tonnellate annue di cdr. Il Lazio ne produce ogni anno 800 mila. Le 450mila tonnellate di cdr prodotte in più rendono fondamentale la presenza di impianti di combustione - termovalorizzatori, gassificati, inceneritori - in Regione e di questi almeno uno a Roma. In realtà, a Roma due già pronti ci sarebbero pure: un gassificatore a Malagrotta ma, appartenendo a Manlio Cerroni il “ras” degli ultimi trent’anni dell’immondizia a Roma - non viene preso in considerazione. Poi ci sarebbe quello di Colleferro, di proprietà della Regione che, però, Zingaretti ha chiuso per accomodarsi con la protesta locale. E ci sarebbe stato anche quello di Albano, da costruire, ma, anch’esso, bloccato dai veti incrociati del Pd locale prima e dei 5Selle poi.

E quando il decreto “sblocca impianti” varato dal Governo Renzi a agosto 2016 indicò che nel Lazio servivano 4 termovalorizzatori, ci fu la gara fra Raggi e Zingaretti a dire che no, non ce n’era bisogno. Che i CdA di Ama si dimettano è un problema gestionale. Il vero problema è la non politica sui rifiuti sin qui seguita: la differenziata, da sola, non salverà il mondo.