Per la prima volta dopo oltre due secoli di storia, un comandante generale dell'Arma dei carabinieri finirà sul banco degli imputati. Lo ha deciso ieri il giudice romano Clementina Forleo nell'ambito del procedimento relativo alla fuga di notizie sull'indagine “Consip”.

Insieme al generale Tullio Del Sette, numero uno dell'Arma fino allo scorso anno, andranno a processo, per il reato di favoreggiamento e rivelazione del segreto, l'ex ministro dello Sport del governo Gentiloni, il dem Luca Lotti, l'ex comandante della Legione carabinieri Toscana, il generale Emanuele Saltalamacchia, l'imprenditore toscano Carlo Russo, e l'ex consigliere di Palazzo Chigi, Filippo Vannoni. Il dibattimento inizierà il prossimo 15 gennaio.

Secondo l'accusa, Luigi Marroni, ex amministratore delegato di Consip, sarebbe stato informato da Vannoni, verso la fine del 2016, che la Procura di Napoli stava svolgendo delle indagini su alcuni appalti pubblici gestiti dalla centrale acquisti della Pa. Vannoni avrebbe avuto l'informazione da Lotti. Analoga informazione sarebbe stata data a Marroni anche da Saltalamacchia. Del Sette, invece, avrebbe comunicato direttamente a Luigi Ferrara, allora presidente di Consip, che la Procura di Napoli stava indagando sull'imprenditore partenopeo Alfredo Romeo, fra i primi aggiudicatari di appalti pubblici.

L'indagine era condotta dai pm napoletani Henry John Woodcock e Celestina Carrano, con il supporto dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico ( Noe). I magistrati, nell'estate del 2016, iniziarono a sospettare che l’imprenditore di Napoli avesse corrotto dei funzionari di Consip per ottenere alcuni appalti nella sanità campana.

Marroni, avendo dunque appreso da più fonti qualificate di essere finito nel mirino, fece subito bonificare il proprio ufficio, rimuovendo le cimini installate dai carabinieri. L'indagine, sfumata, venne successivamente spacchettata per competenza territoriale. La parte su Consip e su Marroni venne trasmessa alla Procura di Roma, quella su Romeo rimase a Napoli.

Durante la trasmissione del fascicolo da Napoli a Roma, negli ultimi giorni del 2016, tutti gli atti finirono sui giornali. “La più grande fuga di notizie della storia”, disse l'allora vice presidente del Csm, Giovanni Legnini. La Procura di Roma, ricevuto il fascicolo, riscontro irregolarità ed errori nella conduzione delle indagini effettuate dai carabinieri che avevano condotto fino a quel momento le operazioni, in particolare da parte di due ufficiali del Noe: il colonnello Alessandro Sessa e il capitano Giampaolo Scafarto.

Inizialmente il pm romano Mario Palazzi fece anche riscrivere l'informativa, ma poi, proseguendo le fughe di notizie decise di togliere il fascicolo al Noe e di assegnarlo ai colleghi del Reparto operativo della Capitale. A carico dei due ufficiali vennero ipotizzate le accuse di rivelazione del segreto, falso e depistaggio. Danneggiato sarebbe stato il padre dell'ex premier Matteo Renzi, Tiziano.

Si parlò anche di complotto. Per loro, però, il gup Forleo ha disposto il non luogo a procedere. Appresa la notizia, duro è stato il commento di Del Sette: “Forse ho pestato i piedi a qualcuno”. Luca Lotti, difeso dall'avvocato Franco Coppi, in un post su Fb si è detto invece pronto ad “affrontare a testa alta” il processo, convito di “dimostrare la mia innocenza”.

Più delicata, infine, la posizione di Saltalamacchia che, interpellato dall'Adnkronos, non ha voluto commentare. Promosso generale di divisione, Saltamacchia è attualmente capo dell'Ufficio centrale per la sicurezza personale ( Ucis), l'ufficio interforze del Ministero dell'interno che si occupa, dopo l'assassinio nel 2002 del giurista Marco Biagi, della tutela delle persone a rischio di attentati o minacce di qualsiasi tipo.

Un incarico molto delicato. Il suo destino è ora nelle mani del comandante generale dell'Arma Giovanni Nistri. Il regolamento militare prevede, infatti, la possibilità di sospendere precauzionalmentedal servizio coloro i quali sono rinviati a giudizi per reati di particolare gravità.