«È l’espressione adatta: sottovalutazione. È come se i gruppi della magistratura associata avessero perso, a un certo punto, la misura della loro funzione. Prima luoghi di confronto sui diritti, sugli orientamenti della giurisprudenza, sull’organizzazione della giustizia. Poi non si è avuta consapevolezza di una tramutazione delle correnti in centri di potere, o nella loro brutta copia».

Al vicepresidente del Csm David Ermini va riconosciuto di saper tenere insieme serenità e fermezza. Perché la sua analisi sulla degenerazione del correntismo — emersa con fragore, ma forse senza novità, nel caso Palamara — non ridimensiona nulla. Anzi, le sue parole in plenum, nel plenum più difficile seguito alle intercettazioni di Perugia, furono di una durezza impressionante. Ma va appunto colta la sua attenzione a non far mai impennare il termometro dei discorsi. «Va detto che mi ha dato grande gioia il riconoscimento, sul modo in cui ho condotto l’attività del Consiglio, arrivato dai gruppi che non avevano contribuito alla mia elezione e dal mio stesso competitor alla vicepresidenza, Alberto Benedetti».

D’accordo, ma dopo lo tsunami vede una magistratura associata consapevole della necessità di cambiare?

Sì, a me è sembrato subito di cogliere un cambio di passo. Ho visto negli stessi consiglieri una riflessione nuova sulle correnti, come se si fossero trovati di fronte a un’impietosa realtà: l’associazionismo giudiziario uscito dai binari del confronto sulle idee ed esposto in maniera gravissima al rischio di essere ben altro. Una brutta copia dei centri di potere.

Una sottovalutazione, appunto.

Si era arrivati a non comprendere più il rischio che si correva.

Invece le correnti sono nate per altre ragioni.

Pensi solo a quanto è importante e prezioso il dibattito sul fine vita, solo per citare un tema divenuto centrale negli ultimi giorni. È giusto che le sensibilità diverse presenti nella magistratura vi trovino un’occasione di confronto.

Ma per ritrovare fiducia ora i magistrati dovrebbero un po’ defilarsi dal dibattito pubblico?

E crede che i giornali parlerebbero meno della magistratura? Pare evidente che giudici e inquirenti siano destinati a essere oggetto di attenzione a prescindere dalla loro diretta presenza nel dibattito. E poi, visto che la loro funzione è applicare la legge, è inevitabile che sul modo di applicarla si articolino discussioni.

C’è una proposta assai gettonata, in queste ore, sulle mailing list riservate della magistratura...

Le mailing list: vorrei fare una considerazione sul tema.

Prego.

Credo che sull’uso dei social andrebbe adottata una certa maggiore prudenza da parte dei magistrati, e credo anche che tale cautela andrebbe estesa alle mailing list, considerato che proprio la sua domanda conferma come siano diventate di fatto pubbliche.

... vi si è discusso della possibilità di attribuire gli incarichi direttivi per sorteggio, una volta che il Csm abbia individuato una rosa ristretta e qualificatissima di candidati.

Posso dire che sarebbe ben accetta qualunque ipotesi utile ad assicurare trasparenza. Il percorso per conferire le nomine deve essere lineare, trasparente, approfondito, aperto, coronato da un’adeguata motivazione in grado di scongiurare il più possibile i rischi di intervento della magistratura amministrativa. Credo anche che lo scrupolo nel seguire in modo rigoroso simili criteri possa essere sufficiente. Se si procede in modo ordinato, con approfondite audizioni, è più difficile che una pronuncia del Tar censuri la decisione. Mi piacerebbe essere il meno possibile sui giornali per via delle nomine, certo. Anche perché il Csm si occupa di molto altro.

Lei è perplesso sul sorteggio per l’elezione dei togati perché vi vede un atto di sfiducia nella capacità di rappresentanza dei magistrati?

È il punto centrale della mia valutazione. Dietro il sorteggio si spalanca un orizzonte incerto, oscurato dall’ombra della normalizzazione. Come se il Csm dovesse rassegnarsi a essere al massimo un organo burocratico. E come se la legge elettorale per i consiglieri togati fosse stata scritta dallo stesso Csm anziché in Parlamento. Credo sarebbe opportuno correggerla, in particolare per rendere il più possibile effettivo il principio di rappresentanza.

Come?

Innanzitutto con una ridefinizione dei collegi in modo da favorire quei magistrati particolarmente conosciuti dai colleghi per le loro capacità, per la loro attenzione. Non condivido il sorteggio anche per una ragione di metodo.

Andrebbe cambiata la Costituzione?

Mi riferisco anche a un altro aspetto. Se c’è una perdita di misura da parte delle correnti bisogna eliminare quell’anomalia, non punire i magistrati con norme che diffidino della loro capacità di rappresentanza.

Con le suppletive previste per questo fine settimana e per dicembre, il Csm, oltre a tornare a ranghi completi, allontanerà anche lo spettro dello scioglimento?

Innanzitutto i poteri di scioglimento costituiscono una prerogativa assoluta del Capo dello Stato. Si può solo osservare che nei mesi successivi all’apertura dell’indagine di Perugia i consiglieri, tutti, si sono impegnati a lavorare con grande assiduità. Non s’è persa una seduta, non ci si è concessi un rinvio. Ora, con le due elezioni suppletive si colmano i vuoti nella composizione del Csm ma, vede, per ritrovare autorevolezza questo non basta. Piuttosto bisogna considerare un prima e un dopo, e fare in modo che non si torni mai più a quanto avvenuto prima che si avessero notizie sull’indagine di Perugia.

Con il riconoscimento costituzionale dell’avvocato crede si possa anche rafforzare l’autonomia della giurisdizione, al punto da scacciare lo spettro di una magistratura sotto controllo politico?

Sono convinto di sì. Con l’avvocato in Costituzione sarebbe davvero rafforzata l’autonomia dell’intera giurisdizione. Aggiungo: è proprio alla tutela della giurisdizione e non solo dei magistrati che ho sempre richiamato l’attenzione, da quando sono vicepresidente del Csm. La giurisdizione è costituita dai magistrati, dagli avvocati e anche dagli accademici. Rispettarla significa comprendere il contributo che tutte le sue componenti offrono all’evoluzione della giurisprudenza. E ancora: rispetto non vuol dire che un esponente politico non possa criticare le sentenze, ma ricordare che la giurisdizione può fare a meno di molte cose, anche del consenso, tranne che della fiducia.

E potrebbe esserci una giurisdizione equilibrata con un avvocato debole?

L’avvocato ne è parte irrinunciabile. La giurisdizione va tutelata per non compromettere un pilastro sul quale poggia la democrazia liberale: spero se ne abbia un’idea chiara.

Nel ddl Bonafede dovrebbe esserci il diritto di voto per gli avvocati nei Consigli giudiziari anche sulle valutazioni di professionalità dei magistrati: è d’accordo?

Parlo davvero a titolo personale, giacché si tratta di norme che competono al Parlamento, ma sono convinto che la valutazione dell’avvocatura sulla professionalità dei magistrati sia molto importante.

Senta, ma il suo contributo di serenità, in questi mesi spaventosi, le è stato riconosciuto o no dai magistrati del Csm?

La mia gioia forse più grande, in questi mesi, è stata ascoltare le parole spese nei miei riguardi da tutti i consiglieri, da chi aveva sostenuto la mia elezione e da chi non l’aveva sostenuta. Sono agli atti del plenum e rappresentano un riconoscimento che non potrò dimenticare.