Due sono le questioni più importanti che sono emerse dopo la sentenza della Corte sul suicidio assistito. La prima riguarda la reazione di alti rappresentanti della Chiesa cattolica. Molte voci autorevoli hanno parlato di “cultura della morte”. Si tratta di una posizione estrema, che oltretutto non tiene minimamente conto del merito della decisione della Corte. Un atto che delimita scrupolosamente la materia, circoscrivendo le condizioni del suicidio assistito.

In sostanza, si tratta delle condizioni che già oggi si praticano negli ospedali, nel silenzio e nel mutuo accordo di medici e familiari.

Come credente mi sento profondamente rattristato da queste posizioni della Chiesa, più simili alle grida ideologiche di alcuni esponenti politici piuttosto che a un’istituzione abituata a calibrare le parole e a esprimersi con prudenza.

Non c’è da stupirsi se poi alcuni politici, abituati a essere più realisti della Chiesa, si lanciano in intemerate propagandistiche che perdono ogni riferimento umano e ogni principio di ragionevolezza.

Mi chiedo da dove nasca questa radicalità della Chiesa sui cosiddetti principi inalienabili, concepiti in una maniera assolutamente astratta tipica delle ideologie politiche.

La mia opinione, altrettanto radicale, è che la Chiesa sia indotta ad assumere queste posizioni a causa della gerontocrazia dei suoi esponenti. In fondo, nel film di Sorrentino, The Young Pope, si affronta anche questa questione. Anche la Chiesa avrebbe bisogno di un ringiovanimento e di una linfa giovane, capace di guardare alla realtà in un modo totalmente nuovo.

Questo sistema gerontocratico, unitamente al dogma del celibato sacerdotale, rende la Chiesa estranea alla realtà del mondo, alla comprensione della reale condizione dell’umanità. Paradossalmente, la Chiesa sul fronte dell’immigrazione è altrettanto sorda alla realtà, privilegiando sempre e comunque, in maniera moralistica e astratta, un’immigrazione senza regole e senza limiti.

La seconda questione che emerge dalla decisione della Consulta, è l’inutilità del Parlamento, la sua cronica incapacità di adempiere al suo compito fondamentale, cioè quello di legiferare. Questo vuoto viene riempito, per fortuna in questo caso dalla Corte Costituzionale.

Azzardo l’ipotesi che anche nel futuro il Parlamento si rivelerà incapace di legiferare, oppure - nel caso partorirà un testo - ne deriverà, come nel passato su altre leggi simili, un compromesso deteriore, esposto a legittimi ricorsi e bisognoso perciò di un nuovo intervento risolutivo della Corte.

Il Parlamento avrebbe bisogno, specialmente su leggi riguardanti problemi di coscienza, di parlamentari liberi dai vincoli di partito e, soprattutto, dall’influenza diretta e politica della Curia romana e dall’episcopato italiano.