Di Maio, da New York, minimizza: «Quelle 70 firme di senatori non sono contro di me». I senatori più fedeli, da Roma, confermano: «Le firme servono solo a rendere il gruppo più forte». Chiacchiere. Le richieste che sono diluviate nella riunione tempestosa del gruppo 5S al Senato di lunedì sera andavano invece tutte proprio nella direzione di depotenziare quello che è ancora, ma ormai quasi solo nominalmente, il ' leader politico'.

Segreteria elettiva e numerosa, segretari regionali eletti e non più indicati dal capo, collegialità delle decisioni. La minaccia di rivolgersi direttamente a Grillo se a quelle richieste non sarà data rapida e positiva risposta è eloquente. Quella dei parlamentari a cinque stelle non è una rivoluzione contro il sovrano ma una insurrezione contro il governatore dal re nominato, scatenata contando sullo spalleggiamento del sovrano medesimo.

Politicamente, però, le cose non sono affatto chiare. I 5S diffidano di Di Maio, l'uomo dell'accordo con la Lega che ha fatto perdere 6 milioni di voti. Ma diffidano anche del Pd e se tirano su Di Maio è anche perché temono che li consegni domani al Pd come li aveva consegnati ieri a Salvini. Vogliono che il Movimento diventi un partito normale nella struttura interna. Ma paventano allo stesso tempo proprio la normalizzazione politica, quella su cui punta invece Conte, ancor più di Di Maio che anzi oggi la contrasta.

Ma nei malumori si mischia di tutto. Frustrazioni per alti incarichi mancati. Insofferenza per il nuovo corso in doppio petto, opposto all'ispirazione originaria del partito. Protesta contro il potere fino a poco fa quasi assoluto del capo nominato da Grillo. Ostilità tutt'altro che sopita nei confronti nel nuovo alleato, già odiatissimo.

L'accordo umbro ha moltiplicato il disagio, a differenza di quanto era successo per l'alleanza per il governo nazionale, che invece proprio i parlamentari avevano voluto più di chiunque altro. Ma lì c'era di mezzo il loro posto: era in ballo la composizione del prossimo Parlamento. L'accordo aveva ancora un sapore emergenziale.

L'Umbria invece apre la pista agli accordi ovunque e l'aver alla fine scelto come candidato una figura più vicina al centro destra che al Pd o al Movimento certo non rincuora. Il M5S, partito di ampia maggioranza relativa in Parlamento, è insomma la vera incognita che pesa come un'ipoteca sul quadro politico italiano. Dalla sua coesione interna dipende in buona misura la durata del governo. Dalla fisionomia che assumerà il Movimento deriveranno sia i connotati che la solidità della maggioranza.

La scommessa di Conte, capace di lavorare in doppia veste, allo stesso tempo interno ed esterno al Movimento, mira alla ' normalizzazione' del già antisistema M5S, alla su trasformazione in forza critica ma assolutamente interna e omogenea al sistema stesso. Da Movimento a partito moderato. Per una parte dei 5S è proprio questa mutazione del dna a essere vissuta con crescente disagio.

Poi ci sono le divisioni interne, tenute sin qui non solo a bada ma quasi inconsapevoli di esistere dal carattere monolitico della struttura interna voluta da Casaleggio. Quella struttura è di fatto crollata nel terremoto di agosto e le distinzioni politiche interne stanno emergendo tutte. Solo che l'M5S non è la Dc, che usava le correnti interne non solo per evitare spinte centrifughe ma le rendeva un punto di forza anche in termini di raccolta del consenso.

La capacità pentastellata di tenere insieme umori e tendenze molto diverse è tutta da dimostrarsi e al momento i segnali attestano casomai il contrario. Salvini promette imminenti novità, con allusione palese al possibile arruolamento nella destra di alcuni senatori 5S. Sarebbero in corso trattative tra Italia Viva, il gruppo di Renzi, e cinque senatori del Movimento.

Alla fine a decidere sia sulla tenuta che sull'orientamento del M5S saranno probabilmente gli elettori. La piattaforma ha dato il via libera all'intesa per l'Umbria con un margine decisamente più ridotto rispetto al voto sulla nuova maggioranza parlamentare.

Se avesse votato solo l'Umbria, l'esito sarebbe probabilmente stato diverso. La scelta del candidato sembra fatto apposta per rendere il voto più difficile per la base nelle elezioni regionali. Se nonostante il cambio di maggioranza l'emorragia di voti proseguirà nelle Regioni, l'M5S diventerà un formicaio impazzito.