Ed eccoci di nuovo qui, tutti insieme, a parlare di Matteo Renzi. E se ne sentono tante e se ne leggono di ogni. La più simpatica è di chi ha scritto che finalmente ha fatto anche lui una cosa di sinistra: una scissione! Ma al di là delle battute che si sprecano, val la pensa indugiare un attimo e cercare di capire il senso di questa operazione che non può essere attribuita soltanto all’ego ( che pure è tanto) del giovane di Rignano.

Intanto i tempi: non si tratta di un’improvvisazione a scena aperta. L’idea covava dal 4 marzo dell’anno scorso ed è maturata, sgranocchiando pop- corn, fin dal congresso che ha portato Zingaretti alla guida del Pd. Renzi snobbò da par suo quell’appuntamento. La decisione di lasciare il Pd, considerato alla stregua di una bad company, era dunque già stata presa.

L’annuncio sarebbe arrivato alla Leopolda di Ottobre. Poi, ecco che arriva Salvini a rovinare la tabella di marcia. A quel punto Renzi, che tutto è fuorché uno sciocco, che fa? La mossa del cavallo! Scarta di lato e rovescia il tavolo da gioco predisposto dal leader della Lega ( non senza una qualche intesa con Zingaretti). Nasce così il governo giallorosso e Matteo 1 ne diventa da subito l’azionista di riferimento.

Quello che teme è che il Conte bis possa non reggere alla prova dei fatti. Teme un incidente di percorso e il suo giudizio su Di Maio & C. Non è certamente mutato. E’ soltanto tempo di correre. E quindi ecco le foto su twitter da Tel Aviv e da altre capitali con la sua immagine in maglietta e scarpe da running. Del resto, “Avanti! Perché l’Italia non si ferma” lo strillava già il suo ultimo libro.

Ma correre in quale direzione? In direzione del centro del sistema politico italiano, in direzione del centro del palcoscenico. E’ lì che si definiranno gli scenari del futuro. Renzi, al pari di altri urlatori di questi nostri tempi, non è né di destra né di sinistra. Lui è renziano. Punto. Però è cresciuto all’ombra di grandi maestri. Se cercate in rete, troverete di sicuro le sue foto con gli occhiali da secchione al fianco di Andreotti e De Mita. Se poi torna il proporzionale, è fatta: Renzi si proporrà come l’ago della bilancia.

Qualcuno dice: le scissioni portano male a chi le promuove, E si chiamano in causa i Fini, i D’Alema e gli Alfano. Vero, verissimo, però… Chi scrive mai ha mostrato alcuna simpatia per il novello principe fiorentino. Tuttavia pare non ci siano dubbio che oggi - cadute le ideologie, venuti meno i grandi partiti di massa e con una mobilità elettorale che non si era mai vista - quel che resta sono i partiti personali: quello di Grillo, quello di Salvini, quello di Berlusconi, quello della Meloni. Si tratta di forze politiche, più o meno in forma, più o meno in crescita, che si reggono pressoché esclusivamente sul carisma e la popolarità del proprio leader.

E a Renzi tutto si può imputare, meno che di non essere un leader. Amato e detestato, al pari di quello di Bibbona, di quello di Pontida o quell’altro con le ville in Sardegna.

Dalla sua intervista a Repubblica e dall’apparizione a Porta a Porta non è uscita una sola proposta politica che andasse oltre la sua stessa figura. Ma è proprio questo il punto. La storia spesso si ripete perché all’italiano medio piacciono le personalità forti. “Verità & Virilità” potrebbe essere lo slogan di questi personaggi che affascinano proprio perché appaiono forti, brillanti, sicuri di se stessi, portatori di verità assolute.

Ecco, giunti ormai al tramonto del berlusconismo e del suo edonismo, davvero si aprono praterie per scorribande alla caccia di consensi popolari e populisti, come il leader di Forza Italia seppe fare per primo.

Dovremo forse prepararci a convivere con l’egocentrismo di Matteo 1 e il narcisismo spinto di Matteo 2. Attenzione, però! E’ questione politica, non soltanto psicologica.