Il tema è sentito. Forse troppo. Così finora non si è mai arrivati al dunque. Ed è proprio nella “forza del precedente” il motivo dell’inconsueto atto di galanteria compiuto dai deputati sulla legge “salva- giornalisti”: ieri infatti la commissione Giustizia della Camera ha deciso di congelare l’esame dei testi presentati dallla m5s Mirella Liuzzi e dal dem Walter Verini, in calendario da oggi, per evitare sovrapposizioni con il lavoro già avviato mesi fa al Senato.

E sì, perché a Palazzo Madama si è già fatto un discreto tratto di strada esattamente sulle stesse materie: sanzioni contro le querele temerarie, eliminazione del carcere per i giornalisti rei di diffamazione a mezzo stampa, maggior valore alla pubblicazione di rettifiche. A occuparsene al Senato sono diverse proposte di legge, con due testi, in particolare, già in discreto stato d’avanzamento: uno presentato dal m5s Primo Di Nicola, l’altro dall’azzurro Giacomo Caliendo.

Il primo in particolare si è assicurato la convergenza pressoché totale dell’intera commissione Giustizia, che ha già completato il relativo ciclo di audizioni ed è a un passo dal licenziarlo per l’Aula. Proprio per evitare paradossali ingorghi, dunque, la presidente dell’altra commissione Giustizia, quella di Montecitorio, Francesca Businarolo, anche lei del Movimento 5 Stelle, ha concordato con Liuzzi e Verini di accantonare le loro leggi ( facilmente unificabili), in attesa che dal Senato arrivi quanto meno il testo proposto da Di Nicola.

«E posso assicurare che non appena l'altro ramo del Parlamento avrà approvato le proposte lì incardinate, farò in modo da calendarizzarle immediatamente a Montecitorio», spiega Businarolo al Dubbio. «Con l’onorevole Liuzzi», aggiunge, «avevamo presentato una proposta di legge in materia già nella precedente legislatura, senza che se ne arrivasse a completare l’esame. Non è possibile sprecare di nuovo l’occasione».

Adesso dovrebbe esserci le condizioni favorevoli. Di certo, per arrivare al traguardo quanto meno con la legge Di Nicola. Spiega il vicecapogruppo del Movimento 5 Stelle a Palazzo Madama: «Ci sono due punti chiave: la necessità di seguire un criterio di essenzialità, come personalmente ho cercato di fare, e il rischio, opposto, di concentrare troppe questioni in un unico testo. Come già avvenuto in passato, con esiti deludenti. Io ho preferito presentare una legge composta da un solo articolo, che interviene esclusivamente sulle querele temerarie: prevede», ricorda Di Nicola, «che chi le propone al solo fine di intimidire il cronista può essere condannato a pagare la metà della cifra. Abbiamo completato le audizioni, siamo tutti d’accordo. Adesso è meglio portare a casa il risultato su un tema che per la categoria è importantissimo. Lo dico da giornalista parlamentare».

La rimodulazione dei lavori ancora non ha ancora sciolto il destino delle altre urgenze avvertite dai giornalisti, evidentemente. La Federazione nazionale della Stampa, con una nota a firma del segretario Raffaele Lorusso e del presidente Giuseppe Giulietti, ha tenuto e indicare in cima alle priorità altri due nodi, oltre a quello delle querele temerarie: il «carcere per i cronisti», da cancellare, e «l’assurdità del sequestro dei beni» inflitto ai «giornalisti di testate fallite». Sarà comunque necessario occuparsene.

Come del diritto di rettifica: che, secondo il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna, «è ridefinito in modo interessante nella proposta Caliendo». Può darsi che una volta licenziati i testi firmati da Di Nicola e dal senatore forzista, la Camera si limiti a imprimere il sigillo definitivo a entrambi. Così come le due leggi ora a Palazzo Madama potrebbero essere integrate a Montecitorio con eventuali ulteriori elementi.

«Credo che la soluzione migliore sia procedere con testi separati, monografici per così dire», suggerisce Di Nicola. Di sicuro ci sono tutte le condizioni perché i giornalisti smettano di trovarsi sotto ricatto. E in un clima del genere potrebbe tornare più serena persino la discussione, altrettanto cara alla Fnsi, sul fondo per il pluralismo dell’informazione, bersaglio di tagli che rischiano di radere al suolo decine di testate.