Non ci fu alcun complotto per togliere a Luigi De Magistris le inchieste “Why not” e “Poseidone”. Si chiude così, dopo 12 anni, lo scontro tra le procure di Catanzaro e di Salerno, con la sentenza della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha annullato senza rinvio la decisione della Corte d’Appello di Salerno.

Una sentenza, quella del novembre scorso, che pur prendendo atto della prescrizione aveva confermato l’abuso d’ufficio contestato, tra gli altri, all’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Salvatore Murone e all'avvocato generale Dolcino Favi, i quali avevano adottato provvedimenti atti a sollevare dalle indagini l’ex pm, oggi sindaco di Napoli.

Ma la decisione presa mercoledì sera dagli Ermellini ha riportato tutto indietro di tre anni, rendendo pienamente efficace la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Salerno, che aveva invece assolto i magistrati catanzaresi. Si chiude, dunque, uno dei capitoli più duri per la magistratura italiana, una guerra tra toghe portata avanti a colpi di perquisizioni, sequestri e avvisi di garanzia, fino alla revoca e all’avocazione delle due inchieste condotte dall’allora magistrato sul mondo politico calabrese.

In modo illegittimo, secondo il pm, che presentò un esposto in procura. E da lì iniziò un vero e proprio terremoto istituzionale che spinse l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad intervenire per chiedere chiarimenti. La vicenda giudiziaria si era chiusa in primo grado, nel 2016, dopo 104 udienze, con una bocciatura delle accuse mosse da De Magistris ai colleghi, che furono assolti, salvo poi essere ritenuti responsabili - ma prescritti - assieme agli altri imputati, il senatore Giancarlo Pittelli, il sottosegretario alle attività produttive Giuseppe Galati ed Antonio Saladino, responsabile per il sud della Compagnia delle Opere, nonché il procuratore della Repubblica Mariano Lombardi, morto nel corso del procedimento.

Ma a riscrivere ancora una volta la storia ci ha pensato la Cassazione, che ha annullato quanto stabilito in secondo grado, riportando tutto, dunque, a quanto stabilito dalla prima sentenza. E così la guerra, a distanza di anni, si è riaperta, almeno a suon di dichiarazioni. Perché mentre gli imputati parlano di linciaggio mediatico, accusando anche i giornalisti di essersi appiattiti sulla tesi di De Magistris, il sindaco di Napoli rilancia, sostenendo la veridicità del fatto, a prescindere dalla decisione della Suprema Corte.

Murone parla di «mistificazioni, bugie e cattiverie». tutte smentite, a conferma «che le vicende successe al signor De Magistris non sono il frutto di congiure e complotti, di poteri forti e livelli superiori, ma solo il suo modo di fare il pubblico ministero già stigmatizzato dai provvedimenti di carriera che lo hanno colpito, portandolo fuori dalla magistratura».

L’ex aggiunto annunciando all’Adnkronos una richiesta di risarcimento per «l’indegna campagna mediatica», parla di «uno dei punti più bassi della categoria dei giornalisti, tutti schierati indistintamente a favore delle tesi di De Magistris». Un «linciaggio» continuo, per mesi, durante i quali «venimmo additati come la peggiore espressione della magistratura», una macelleria mediatica, oltre che giudiziaria, «che ha distrutto la nostra onorabilità, le nostre carriere, le nostre famiglie».

Una campagna che per l’ex magistrato sarebbe stata costruita grazie ai rapporti di De Magistris con i giornalisti, rapporti «agli atti», accompagnati da «centinaia di fughe di notizie su cui nessuno ha mai fatto luce, e se non è stato l’ex pm ancora mi chiedo chi fu a violare continuamente il segreto istruttorio». E sull’attuale sindaco di Napoli le parole di Murone sono poche, ma dure. «Perfino colleghi magistrati chiamati a testimoniare al dibattimento lo hanno smentito, che vi devo dire di più?».

Per De Magistris, però, la sentenza della Cassazione, cristallizza comunque, nonostante l’annullamento, il fatto storico così come da lui raccontato. Invitando «gli imputati» ad attendere le motivazioni, definisce la vicenda «ricostruita in via definitiva. La Cassazione non può entrare nel fatto - aggiunge - La sentenza della Corte d’Appello di Salerno in cui si parla di condotte, seppur prescritte, di abuso d’ufficio, quindi di sottrazioni illecite delle inchieste Why not e Poseidone, al fine di danneggiarmi e avvantaggiare gli indagati, è un fatto storico acclarato e la storia non può essere cambiata, qualunque sia la motivazione della Corte di Cassazione».

E da qui la nuova guerra, con la replica di Mario Murone, difensore di Salvatore Murone. «Dimentica l’ex pm che l’annullamento senza rinvio di una sentenza di appello fa “rivivere” in toto l’accertamento compiuto dal Tribunale di Salerno. Nessun fatto è stato accertato da una sentenza che non esiste più nel “mondo giuridico”. Se ne facesse una ragione e prendesse atto dei suoi ingiustificabili comportamenti - sottolinea - come aveva già stabilito il Csm nel sanzionarlo disciplinarmente e come, con maggior approfondimento probatorio, hanno stabilito i giudici di primo grado».

E a lui si aggiungono le parole di Francesco Favi, figlio di Dolcino e avvocato dello stesso durante il processo. «La sentenza che smentisce il teorema De Magistris mette la parola fine a tutto», evidenzia. Un «complotto inesistente», rilancia Pittelli, che avrebbe portato ad «un'inimmaginabile carriera politica» De Magistris.