Chissà se è vera la storiella che circola a Bruxelles. Si racconta che al termine degli incontri di Giuseppe Conte con la Commissione Ue ed il nuovo vertice del Consiglio europeo, qualche diplomatico abbia iniziato a fischiettare nei corridoi di Justus LipsiusIt’s a long way to Tipperary”, motivetto in voga in Inghilterra durante la Prima Guerra Mondiale. Forse, chissa.

Infatti sarebbe stato questo il commento, indiretto, alle discussioni che il presidente del Consiglio ha avuto con i vertici europei: da Ursula Von der Leyen a Jean- Claude Juncker; da Donald Tusk a Charles Michel. Una formula diplomatica- musicale per sostenere che molta acqua dovrà passare sotto i ponti prima che le richieste italiane soprattutto in termini di finanza pubblica - possano venire accolte.

Perché la verità è che nonostante le pacche sulle spalle e i relativi attestati di amicizia ricevuti da Conte, il capo del governo torna a Roma con poche certezze sulla flessibilità di bilancio che l’Italia potrà ottenere. Anche perché, nella sostanza, “Giuseppi” ha prospettato a Bruxelles che l’Italia punta a sfondare i target di deficit nel 2020, e non solo.

«Il nostro obiettivo è la riduzione del debito», ha detto. «Non stiamo dicendo che non vogliamo i conti in ordine ma lo vogliamo fare attraverso una crescita ragionata e investimenti produttivi». Per poi aggiungere: «Consentiteci di realizzare questi investimenti e per un pò di tempo lasciateci realizzare questo progetto» .

A Bruxelles hanno interpretato questa formula con: fateci fare più deficit per alcuni anni. Eppoi, sarà la crescita, cioè l’aumento del Prodotto interno loro a ridurre i parametri europei. Tant’è che l’entourage della Von der Leyen, al termine dell’incontro, si è limitato a commentare che fra i due c’è stato un buon scambio di idee sulla nuova situazione politica, sia in materia di immigrazione sia sui temi di finanza pubblica.

Ma, come era previsto, si è trattato di un incontro senza risultati concreti. Traduzione: la Von der Leyen non ha preso alcun impegno verso le richieste italiane. E difficilmente lo avrebbe potuto fare. Paolo Gentiloni sarà pure il Commissario agli Affari economici, ma sopra di lui all’interno della Commissione ha un vice presidente esecutivo che si chiama Valdis Dobrovskis, mai particolarmente tenero nei confronti dell’Italia. E quel che ha prospettato Conte nella sua missione europea è di applicare in Italia una politica economica molto simile a quella ottenuta in passato dalla Francia e dalla Spagna.

Vale a dire, più deficit per favorire la crescita. Occorre ricordare che Madrid ha registrato deficit intorno al 4 per cento per dieci anni. E da almeno cinque anni Parigi supera abbondantemente il 3 per cento. Conte ha chiesto di fare altrettanto. Con un particolare: Francia e Spagna hanno un debito decisamente più basso di quello italiano. Ed il debito sovrano altro non è che la somma dei fabbisogni annuali.

D'altra parte, «l'Italia può continuare a contare sulla solidarietà ed il sostegno della Commissione europea su tutta la linea». Peccato che a dirlo sia il portavoce di Juncker, che a fine ottobre uscirà di scena. Mentre da parte della Von der Leyen solo frasi di circostanza. Visto da Roma, il progetto che avrebbe tratteggiato Conte a Bruxelles non sarebbe troppo diverso da quello che – sicuramente in modi meno affettati – proponeva Salvini. Così, visto da Bruxelles, lo schema rischia di irrigidire gli spazi di negoziato.

Al contrario, sul fronte dell’immigrazione – almeno a parole – qualche risultato sembra che Conte sia riuscito a strapparlo. «In Italia non possiamo dirci soddisfatti del sistema dei rimpatri, che dovranno essere gestiti a livello europeo, integrando gli accordi che devono essere a livello europeo non possono essere affidati agli Stati come l'Italia», ha detto l’inquilino di palazzo Chigi. E subito ha trovato l’assist della Francia che condivide – nelle parole del portavoce dell’Eliseo – «la necessità di avere una politica europea dell'asilo», tra cui il «rafforzamento» di Frontex e il fatto di «far evolvere» il regolamento di Dublino. Attenzione alle parole. Parigi vuol “far evolvere” il Trattato firmato nella capitale irlandese. L’Italia lo vuole riformare profondamente. E la Von der Leyen non è contraria. E dunque, in qualunque caso, It’s a long way to Tipperary…