«Non c’è motivo di guardare al 1° gennaio come a una data fatale. Da quel giorno la norma che elimina l’istituto della prescrizione dopo il primo grado sarà in vigore, ma produrrà effetti solo sugli illeciti commessi a partire da quella stessa data. Il che vuol dire che c’è ancora una lunga battaglia da fare, in cui sono personalmente impegnato». A dirlo è Domenico Pulitanò, vera e propria istituzione dell’accademia del Diritto penale italiano. «La scelta di differire l’efficacia della nuova prescrizione, in modo da introdurre prima una riforma del processo, sembra presupporre la necessità di imbrigliarla, quella norma: allora perché la si è introdotta?...».

«Non ci riusciamo. Meglio: noi, la cosiddetta élite dei giuristi, rappresentiamo sì una élite ma di tipo tecnico, possiamo dare vita a un confronto interno, ma non riusciamo a farci ascoltare dall’opinione pubblica. Il punto è che, sulla giustizia, non riesce a farsi ascoltare neppure quella parte della politica che dovrebbe seguire una linea più razionale».

Domenico Pulitanò è una istituzione in sé. Professore emerito di Diritto penale della Statale di Milano e della “Bicocca”, avvocato, è considerato dai penalisti un punto di riferimento al pari di pochissimi altri studiosi. Quando, un anno fa, aderì all’appello contro la “nuova” prescrizione rivolto dalle Camere penali al presidente della Repubblica, il presidente dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza esultò come farebbe il sostenitore di una squadra di calcio per l’ingaggio di un grande campione. Ora Pulitanò ribadisce tutto l’allarme per l’entrata in vigore della norma che “sospende” ( meglio: abolisce) la prescrizione dei reati dopo il primo grado. Anche se, aggiunge, «non c’è motivo di guardare alla scadenza del 1° gennaio come a una data fatale. Sì, da quel giorno la norma che elimina l’istituto della prescrizione sarà in vigore, ma produrrà effetti solo sugli illeciti commessi a partire da quella stessa data. Il che vuol dire che c’è ancora una lunga battaglia da fare».

Una battaglia contro la prescrizione che potrebbe anche durare anni, dunque?

Si deve prendere atto di una sorta di equivoco creatosi nella percezione diffusa. Gran parte dell’opinione pubblica sembra considerare quella data del primo gennaio come il tornante fatale dopo il quale in tutti i processi, una volta pronunciata la sentenza di primo grado, non ci sarà più la prescrizione. Ma sappiamo che non è così, perché la modifica introdotta interviene su un elemento di diritto sostanziale, il che vuol dire che nel caso dei processi per reati seri, chiamiamoli così, per anni non cambierà nulla. Sempre che la norma, sostanziale appunto, sia correttamente interpretata.

Intende dire che, quando sarà diventato chiaro come l’effetto tangibile della “nuova” prescrizione sia in realtà differito, l’opinione pubblica potrebbe essere meno delusa da un ripensamento del legislatore?

Certo, c’è anche questo aspetto, che agevola la dura battaglia politica da condurre contro il blocco della prescrizione. Ma io mi riferisco innanzitutto al fatto che, se ci si vuole opporre a quella norma, non ha senso considerare la data del primo gennaio come l’esplosione di una bomba a orologeria.

In questo Giulia Bongiorno aveva torto.

A me interessa che una politica seria avrebbe tutto il tempo per rimediare, e che restano intatti i presupposti e le condizioni per condurre una battaglia altrettanto seria.

Professore, lei argomenta con efficacia: ma, in generale, come può, l’élite dei giuristi, persuadere un’opinione pubblica abituata ormai a leggi sulla giustizia concepite proprio per aderire alle aspettative della massa?

È un problema enorme. È il problema delle élites in generale, che si ingigantisce nel caso delle élites politiche. Vede, noi come tecnici del diritto, siamo fatalmente portati a costruire discorsi che non saranno compresi dal pubblico. A volte sono costruzioni che potemmo definire illuministiche, in senso buono e meno buono, in ogni caso siamo portatori di ragioni che fanno fatica ad essere comprese. Ma la politica...

La politica?

Ecco, se tutta la politica gialloverde ha seguito una strada illiberale e irragionevole, il punto è che i più liberali hanno avuto difficoltà a farsi sentire. La cultura penalistica, mi riferisco agli avvocati e a noi giuristi, si è battuta, sì, ma i politici che avrebbero dovuto sostenere le ragioni del diritto penale liberale lo hanno fatto molto meno.

Perché, secondo lei?

Semplicemente, non sono capaci di sviluppare un discorso comprensibile a un vasto pubblico. Ora ci troviamo nel paradosso per cui c’è un ministro della Giustizia continuatore di una politica che sarebbe da modificare. Dall’altra parte c’è un discorso impostato unicamente in chiave garantista e che per questo rischia di essere frainteso.

A cosa si riferisce?

Al fatto che quel discorso rischia di essere liquidato come argomentazione fiancheggiatrice di illeciti gravi.

Intende dire che il garantismo viene per lo più da un centrodestra fatalmente associato ai processi di Berlusconi?

Non solo. Dal punto di vista dei populisti è sospetta anche la posizione garantista associabile al mondo di Renzi, che per estentensione diventa l’intero Pd.

Inevitabile.

Il problema è che la critica alle ultime politiche sulla giustizia dovrebbe basarsi sull’efficienza. Bisognerebbe riuscire, per esempio, a interrogare l’opinione pubblica nel seguente modo: credete davvero che con l’innalzamento delle pene, con l’abolizione dell’abbreviato per i reati da ergastolo, con un principio di legalità ridotto alla cosiddetta certezza della pena, cambi davvero qualcosa? O casomai, anziché produrre più tutela e più sicurezza, lungo questa via si finisce per aggravare i problemi? Ecco, un discorso simile proprio non lo si riesce a costruire.

Però è vero che il garantismo è molto esposto al pregiudizio del fiancheggiamento.

Ciò non toglie che da parte del mondo forense e dei giuristi in generale si debba proseguire con una forte critica. A breve ci saranno altri convegni dell’Unione Camere penali, un congresso a Taormina, e si lavora con l’obiettivo di strutturare una riforma alternativa proprio in materia di prescrizione dei reati. Lavoro in cui sono personalmente coinvolto e che va fatto a maggior ragione considerato l’effetto non immediato che avrà la norma sulla prescrizione. Il che peraltro non significa ignorare gli effetti negativi più generali, comunque evidenti.

Effetti di tipo culturale?

Certamente si crea un modello, davvero brutto sul piano dei principi, secondo cui la prescrizione è una cosa cattiva e con la sentenza di primo grado ce ne liberiamo. In realtà è inaccettabile che, dopo la sentenza di primo grado, qualsiasi reato diventi imprescrittibile.

Il processo eterno.

Qui si innesta un altro aspetto sottovalutato: il legame tra la norma che elimina la prescrizione e le riforme del processo penale. Il legislatore ha differito l’entrata in vigore della prescrizione perché era necessario introdurre prima queste riforme del processo: un legame curioso, che pare presupporre la necessità di imbrigliare la norma sui termini di estinzione dei reati, altrimenti portatrice di effetti negativi e non accettabili. E allora, di grazia, perché l’hai introdotta? Ecco un altro discorso rimasto inopinatamente fuori dal dibattito pubblico.

Anche qui: sono i limiti dell’opposizione “liberale”?

Dico semplicemente che va benissimo l’idea di rendere più veloci i processi, ma che se ci si arriva davvero, le declaratorie di avvenuta prescrizione non ci saranno più.

E quindi, abolire la prescrizione equivale a una dichiarazione di resa rispetto alla lunghezza eccessiva dei processi, giusto?

Esatto: cerchiamo di farli funzionare, i processi. E ricordiamoci anche che abbreviarli non può essere associato all’idea secondo cui si deve arrivare più celermente all’accertamento delle responsabilità; piuttosto all’idea che si devono ridurre i rischi di avere un innocente sottoposto a un lungo, ed estenuante, processo.