Non un nuovo centrodestra, ma «il centrodestra». La precisazione di Giovanni Toti a bordo palco, mentre la folla in piazza Montecitorio urla e fischia contro Giuseppe Conte, incoraggiata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è chiara: l’asse sovranista di centrodestra non è appena nato, si è solo ricomposto. Con buona pace di Silvio Berlusconi, il grande assente, ieri, alla manifestazione di protesta contro il nuovo governo, organizzata da Fratelli d’Italia e appoggiata dalla Lega. A loro si è unita la costola di Forza Italia guidata dal governatore della Liguria, ma anche CasaPound, presente con tanto di saluto romano. E tutti saranno in piazza a San Giovanni anche il 19 ottobre, giorno della grande protesta voluta da Salvini.

Tra palloncini verdi, bianchi e rossi, striscioni che invocano il «voto subito», bandiere tricolori, cartelli contro «il partito di Bibbiano» e perfino una poltrona vera, la protesta contro “il governo - appunto - delle poltrone”, «“in nome del popolo sovrano» va in scena diluita nelle note dell’inno di Mameli, cantato ad ogni piè sospinto dai manifestanti in piazza. Una parte dei quali rimane bloccata, per ragioni di sicurezza, nelle strade adiacenti. «Abbiamo fatto solo un errore: avremmo tranquillamente potuto riempire piazza del Popolo», urla dal palco Meloni.

La promessa è che «staremo qui finché non cadrà il governo», che Salvini ribattezza «Monti bis». La piazza urla «traditori» e «a morte», contro un governo «inventato nel palazzo, con intrighi di palazzo», che pensa «alle banche» ed è guidato «dai poteri forti». Ed è mentre in aula Conte chiede la fiducia alla Camera che si compone la squadra del centrodestra per le prossime elezioni: Meloni dà il «bentornato all’amico Salvini», che dal palco, prima di salutare la folla baciando l’immancabile rosario, annuncia di essere al lavoro con «Giorgia per allargare» e non per dire «tu no».

È il momento, dunque, di «includere i milioni di italiani che vogliono il cambiamento». E Toti difende il leader della Lega, accusato «ingiustamente» per la caduta del governo di cui era parte. «Io sono tra coloro che sperava che questo governo gialloverde concludesse la sua avventura, così è stato, forse troppo tardi ma abbiamo evitato tanti danni, come la riforma Bonafede della giustizia, la chiusura domenicale dei negozi - commenta - Oggi dire che Salvini ha sbagliato a fare quello che tutti i governatori e gli amministratori del paese gli chiedevano mi sembra ingiusto».

Il leader della Lega punta il dito contro i giornalisti, «servi del potere», ironizzando sulla piazza definita «eversiva» e chiedendo alle mamme «di alzare la mano». Una piazza «fatta di persone a volto scoperto, disarmate e con le forze dell'ordine che sorridono insieme a noi. Non è la piazza dei centri sociali», aggiunge. L’obiettivo unico e finale è «vincere» le elezioni.

A partire dalle regionali. «Ci sono 30 milioni di italiani che nei prossimi mesi avranno la fortuna di votare - dice - perché ormai in Italia il voto è un privilegio. Ci dicevano che eravamo noi quelli pericolosi, fascisti. Ma siamo gli unici dittatori che volevano dare la parola al popolo. Forse i dittatori sono quelli chiusi dentro il Palazzo», perdendo «onore e dignità» in nome di qualche ministero. «Meglio stare con la gente che mille ministeri», dice camminando verso il palco. E quando nomina Conte è un tripudio di fischi, che l’ex ministro asseconda, rimanendo in silenzio il tempo che serve per lasciar sfogare la piazza. Poi tira fuori il suo asso nella manica, i migranti.

«I porti li chiudiamo noi, tutti insieme, perché in Italia non si entra senza permesso», promette. E parlando delle indagini sui blocchi navali in Sicilia chiede aiuto alla folla: «se mi chiamano in tribunale porterò voi come testimoni di un paese sovrano, orgoglioso dei confini e delle leggi». Se qualcuno pensa di tornare al «business dell'immigrazione clandestina - aggiunge - sapremo come impedirlo, sempre in maniera democratica». E promette un’opposizione «seria, in Parlamento, nei comuni, ma soprattutto in mezzo alla gente, da nord a sud. Mai mollare».

Il leader del Carroccio promette battaglia anche su quota 100: «se vogliono tornare alla legge Fornero - giura - dovranno passare sul mio corpo, non li lasceremo uscire da quel palazzo». E poi: «possono scappare dal voto per qualche mese ma non possono all’infinito e quando si tornerà al voto vinciamo noi». Non mancano le frecciatine all’ex amico Luigi Di Maio. «Passare nell’arco di una settimana dal ministero del Lavoro al ministero degli Esteri o sei un genio o…», dice senza terminare la frase. Meloni, intanto, sbeffeggia i 5 Stelle, suo principale obiettivo polemico della giornata. Per loro, dice, «questo è un bel “vaffaday”». Li chiama «truffatori di consenso» e, soprattutto, «parte del sistema, come il Pd. Sono i peggiori voltagabbana che si siano mai visti».

E lo scopo della loro unione, afferma, è arrivare alla nomina del Presidente della Repubblica, «al quale vogliono mettere un campione mondiale di svendita dell’Italia, Romano Prodi: questo è quello che hanno in mente. Ma non ci arriveranno». Il suo sguardo, poi, si sposta sulla Camera, dove Conte ha ormai terminato il suo discorso. Dalla piazza, per lui, dice, arriva l’immagine «di decine di migliaia di persone» che urlano «noi non ci stiamo» ad un governo nato «contro la volontà dei cittadini. Non so come faccia questa gente a non rendersene conto - aggiunge - ma noi volevamo che fosse plasticamente rappresentato e ci siamo riusciti».

E sull’assenza di Forza Italia, Meloni fa spallucce. «Non capisco perché abbia voluto isolarsi, ma oggi non mancano i suoi elettori. Per me - conclude - oggi nasce una grande opposizione a questo governo, nel segno del tricolore, nella difesa dei diritti, della sovranità, con tutti quelli che vogliono farne parte. I bisogni dei cittadini vengono prima di quelli dei partiti».