Dialogo e integralismo: il Pd dovrà fare in fretta a modularsi sulla cifra di Bonafede. Che mantiene il dicastero forse più importante dopo quelli economici. La Giustizia è un tema sempre cruciale, ma lo è a maggior ragione in una fase di trasformazione, soprattutto dei rapporti fra politica e magistratura. E la dialettica fra i dem e il guardasigilli del Movimento si consumerà su due fronti: la riforma del processo e del Csm, con l’annesso totem della prescrizione, e un arcipelago di dossier in cui pure si giocano gli equilibri fra garantismo e approccio “general- preventivo”: il carcere innanzitutto, le intercettazioni, alcune misure della “spazza corrotti” in odore di censura costituzionale.

Presto Andrea Orlando, da dirigente senza vincoli di governo, potrebbe trovarsi a condurre la partita con il suo successore. Giocherà di sicuro un ruolo. Così come un peso finirà per ricadere, è inevitabile, sul sottosegretario pd che avvicenderà il leghista Jacopo Morrone. Anche i parlamentari del partito di Zingaretti più competenti in materia di giustizia saranno coinvolti nella schermaglia. Tutti comunque dovranno fare i conti con un ministro che, come ricordato all’inizio, ha due tratti distintivi: la capacità di ascolto e l’intransigenza, l’integralismo appunto, nel tenere alcune posizioni. Un’aporìa che è la sua arma. Perché a Bonafede non si può negare un’autentica apertura al dialogo e alla mediazione.

Riconosciuta innanzitutto dall’avvocatura, con cui ha intrattenuto — e manterrà — un confronto aperto nonostante la radicale distanza su nodi cruciali come la prescrizione. Lo si è visto nella relazione intensa e schietta avuta finora dal guardasigilli con il Consiglio nazionale forense, con l’Ocf ( che, come l’istituzione dell’avvocatura, gli ha rivolto un messaggio di assoluta stima, riportato nell’edizione di oggi, nda) ma anche con le componenti associative, dall’Unione Camere penali alle Camere civili.

Chiedere loro per informazioni: sia Gian Domenico Caiazza, leader dei penalisti, che il civilista Antonio de Notaristefani vi diranno quanto restino problematici se non inconcepibili alcuni provvedimenti ( varati e abbozzati, dalla “spazza corrotti” alle preclusioni istruttorie ipotizzate dinanzi al giudice monocratico); eppure entrambi i vertici dell’associazionismo forense vi confermeranno che Bonafede è interlocutore leale, capace di raccogliere le sollecitazioni sulle riforme, pur senza mai aprire la cittadella invalicabile dell’approccio general preventivo sulla corruzione. È qui l’“insidia” per gli interlocutori di Bonafede, appunto: contestarne la disponibilità dialettica è impossibile, e diventa così più imbarazzante aggredirlo sulle materie politicamente divisive.

Se ne accorgerà il Pd nel provare ad aprire la partita sulla prescrizione.

Come già ricordato dal Dubbio, in un vertice di 6 giorni fa gli ambasciatori pd Del Rio e Stefano si sono arresi all’impossibilità di accennare, nel programma, al tema dell’estinzione dei reati. Se ne riparlerà a breve, certo. Ma l’esito rischia di essere quello — sgradito all’avvocatura ma certo non entusiasmante neppure per il Pd — di un estenuante braccio di ferro che porti al ripristino della prescrizione solo per chi, in primo grado, è assolto. Sulla riattivazione dell’istituto anche per chi è condannato dal Tribunale, i cinquestelle sono pronti a immolarsi come se fosse la madre di tutte le battaglie.

Si troveranno adattamenti e mediazioni, positive, sulle riforme dei processi e sul sorteggio al Csm, con più fatica sulle intercettazioni e sul carcere. Ma il dialogo, appunto, non sarà precluso. E non lo sarà affatto su un’idea di riequilibrio nella giurisdizione che a Bonafede è cara quanto l’integralismo nelle pene per i reati contro la Pa: si tratta proprio del ruolo che spetta all’avvocatura. Il guardasigilli è il primo sostenitore del ddl sull’avvocato in Costituzione, incardinato al Senato ( a firma del neo ministro Patuanelli e del capogruppo leghista Romeo) e sicuramente condiviso dai democratici, Orlando innanzitutto. Il quale aveva informato il successore di essere pronto a dare una mano, sulla riforma, assai prima dell’agosto che ha sconvolto l’Italia. Figurarsi ora.

Il ruolo costituzionale del difensore sublima anche la possibilità di riaffermare la centralità dei diritti, come antidoto all’integralismo penale del Movimento. E proprio la paziente ricucitura del sistema attorno ai diritti è la sfida che, sulla giustizia, e non solo con Bonafede, a una seria sinistra di governo tocca ora intraprendere.