Milano, con circa un milione e 300 mila abitanti e un indotto di oltre due milioni e mezzo di persone che entrano ed escono dalla città ogni settimana, è uno dei capoluoghi in cui si consuma più droga d’Italia. Denaro in abbondanza, attività finanziarie, moda, università e movida rappresentano il tessuto sociale ideale per la diffusione e l’abuso di sostanze stupefacenti. Domanda alta. Offerta ancora più alta. Un fenomeno trasversale, quello della tossicodipendenza, che oggi riguarda una fascia molto estesa della popolazione, dai preadolescenti agli anziani e seguitare a credere che i tossici appartengano al mondo degli sballati emarginati è un grossolano errore di valutazione che nessuno può permettersi.

Rogoredo è un quartiere periferico a sud- est del centro di Milano poco distante dalla famosa Abbazia di Chiaravalle. All’inizio del secolo scorso fu protagonista di un consistente processo di industrializzazione con l’insediamento di acciaierie e industrie chimiche e conseguente significativo aumento della popolazione al punto da assumere i contorni di un paese indipendente ai margini di Milano. La situazione ha iniziato a complicarsi intorno al 2015, in corrispondenza con Expo, quando i consumatori, allontanati dal centro città, sono confluiti in questa zona periferica rivelatasi logisticamente strategica.

La maggior parte dello spaccio e del consumo avviene in un’area alberata all’interno del Parco Cassinis, meglio nota come “il boschetto” oppure nei pressi della limitrofa stazione dell’alta velocità. Due luoghi malsani, oltre ogni dignità, dove centinaia di tossicodipendenti comprano e consumano eroina, cocaina e droghe sintetiche creando un vero e proprio allarme sociale per il quartiere. Degrado, spaccio, violenza e pochissimi controlli nonostante la presenza di un presidio fisso delle forze dell’ordine concentrato, evidentemente, a un lavoro più contenitivo che risolutivo. In pochi anni Rogoredo è diventato lo scenario quotidiano di un pendolarismo massiccio da tutta la Lombardia e dalle regioni confinanti e per quanto possa apparire insolito intraprendere un viaggio in treno per comprare una dose, il motivo è facilmente spiegato: non esistono prezzi così bassi in tutto il nord Italia.

Nel boschetto della droga c’è un tariffario per ogni servizio e non si vende solo una dose ma tutto il kit necessario per drogarsi. Con 8 euro, ad esempio, oltre alla dose di cocaina cosiddetta “dei poveri” si ottiene una siringa nuova, un accendino e un cucchiaino e ai più fortunati i pusher omaggiano l’uso di un materasso malconcio per circa un’ora. Una monodose di eroina da 0,1 grammo invece può costare 2 o 3 euro. Meno di un pacchetto di sigarette. A chi non ha soldi a sufficienza viene proposto di vendere il proprio corpo nella tenda canadese rossa dove, oltre alla droga, talvolta viene consegnato un preservativo. Le prestazioni sessuali vanno da 5 euro per il sesso orale a 20/ 30 euro per un rapporto completo.

La cocaina rimane in assoluto la droga più diffusa ma la vera emergenza degli ultimi 4 / 5 anni è il grande ritorno dell’eroina. Di facile accessibilità, non si inietta più solo in vena ma si fuma. La tendenza dei narcotrafficanti è quella di potenziarla aumentando la percentuale di principio attivo per ' affamare' il consumatore e fidelizzarlo. Siamo di fronte a geniali e strategiche operazioni di marketing da parte di spacciatori senza scrupoli che, attraverso l’aumento della disponibilità e il calo dei costi, raggiungono i veri obiettivi finali: drastico abbassamento dell’età dei consumatori e parco clienti allargato. I primi contatti avvengono a 13/ 14 anni attraverso i cannabinoidi, ancora oggi, la sostanza di ingresso più diffusa.

Molti ragazzi giungono al primo consumo per motivazioni banali e il senso di invulnerabilità tipico della giovane età li conduce a sperimentare di tutto senza conoscere nulla della sostanza assunta trascinandoli velocemente nel baratro della dipendenza. Risale a pochi giorni fa l’ennesimo angosciante fatto di cronaca che ha coinvolto una 17enne tossicodipendente e incinta aggredita e picchiata al “boschetto della droga”. La ragazza, con il volto tumefatto dalle botte, accasciata tra i cespugli piangeva e gridava aiuto in uno stato di grave disagio psico- fisico. Fortunatamente è stata soccorsa e trasferita in una struttura medica adeguata. Ma il dramma rimane.

Il dramma di una realtà statica in cui l’assunzione di sostanze stupefacenti da parte dei giovani sembra un fatto quasi scontato. Una sorta di lento ma inesorabile processo di normalizzazione dei comportamenti trasgressivi. Pochi anni fa l’indagine “Sballo 2.0” scoperchiò un giro di giovanissimi spacciatori/ consumatori che si scambiavano droghe di ogni genere comunicando con disegnini via Whatsapp la sostanza prescelta. Come se fascinazione e mitizzazione del pericolo e del vietato prevalessero su tutto il resto in un rapporto con la realtà totalmente scomposto e distante. Nel boschetto, tra rifiuti e siringhe abbandonate, circolano più di 500 persone al giorno.

Tra i clienti abituali non mancano ex imprenditori, disoccupati, impiegati, persino un nonno con un nipote e studenti neodiplomati con lo zainetto in spalla che invece di bussare alla porta di qualche azienda si infilano l’ago nel braccio. Negli ultimi due anni il consumo di eroina è aumentato del 103% e le morti per overdose di oltre il 15%.

E’ indispensabile prendere atto della crisi dei processi formativi tradizionali e della responsabilità educativa degli adulti a loro volta, troppo spesso, disorientati e spiazzati dalla complessità del raggiungimento di un reale progetto di vita. Alla radice della crisi dell’educazione vi è innanzitutto una crisi di fiducia nella vita con cui prima o poi tutti dovranno fare i conti.