Al 41 bis è vietato lo scambio di generi alimentari anche se ciò avviene tra persone del medesimo gruppo di socialità. Questo è ciò che dice la sentenza della Cassazione sul ricorso proposto dal ministero della Giustizia nei confronti di Giovanni Riina, figlio di Totò, l’ex capo dei capi. Tutto ha avuto inizio quando il tribunale di Sorveglianza di Perugia ha accolto il reclamo ex art. 35- bis ord. pen. di Giovanni Riina, detenuto sottoposto al regime del 41 bis. È andato contro l'ordinanza con cui il magistrato di Sorveglianza di Spoleto aveva dichiarato inammissibile il ricorso avverso il provvedimento della Casa di reclusione di Spoleto di divieto dello scambio di oggetti, compresi i generi alimentari, all'interno del medesimo gruppo di socialità.

Il Tribunale però ha ritenuto che la disposizione dell'art. 41- bis comma 2- quater lett. f), fonte normativa del divieto di scambio di oggetti tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità, non possa essere interpretata, pena altrimenti l'incostituzionalità, nel senso proposto dall'Amministrazione penitenziaria.

Secondo il tribunale di Sorveglianza non si vede infatti come lo scambio di oggetti di modico valore, i soli consentiti dall'ordinamento, e specificamente quello di generi alimentari, possa arrecare un danno al soddisfacimento delle esigenze sottese al regime speciale. Il Tribunale ha pertanto accolto il reclamo e riconosciuto che la materia dello scambio di oggetti e generi alimentari tra detenuti in regime del 41 bis riceve tutela in base al combinato disposto degli artt. 35- bis e 69 co. 6 lett. b I. n. 354 del 1975, essendo codificato il diritto soggettivo del detenuto a esercitare una minima socialità all'interno del gruppo. Ha pertanto annullato l'ordinanza impugnata con disapplicazione dell'ordine di servizio e delle circolari ministeriali sul punto difformati e ha ordinato all'Amministrazione penitenziaria di emettere un ordine di servizio che recepisca le indicazioni date.

Ma il ministero della Giustizia ha fatto ricorso, tramite l’avvocatura di Stato, e ha dedotto vizio di violazione di legge. Ha evidenziato che la lettera della disposizione di cui all'art. 41- bis co. 2- quater lett. f) ord. pen. è chiara nello stabilire che il divieto di scambio di oggetti tra detenuti è generale ed operativo anche all'interno del medesimo gruppo di socialità. Il ricorrente ha sottolineato che lo scambio di oggetti non è essenziale alla socializzazione e pertanto il divieto in oggetto, frutto di un bilanciamento con il contrapposto interesse ad arginare i flussi informativi tra i detenuti in regime speciale, non è irragionevole. Peraltro ha ricordato che la Cassazione, con sentenza n. 5977 del 2017, ha avallato l'interpretazione più rigorosa del divieto di scambio di oggetti, affermandone l'operatività all'interno del medesimo gruppo di socialità. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto quindi l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

La Cassazione ha ritenuto valido il ricorso. La Corte ricorda di aver già affrontato specificamente la questione relativa alla portata del divieto normativo di scambio di oggetti tra detenuti in regime del 41 bis dove ha dettato il principio di diritto secondo cui “in tema di regime detentivo differenziato, la prescrizione prevista dall'art. 41- bis, comma secondo quater, lett. f), secondo periodo, ord. pen., che impone all'Amministrazione penitenziaria di adottare tutte le misure di sicurezza volte ad assicurare l'assoluta impossibilità per i detenuti di scambiare oggetti tra loro, riguarda tutti i detenuti a prescindere se appartenenti al medesimo o a diversi gruppi di socialità”.

Si è allora dimostrato sulla base del costrutto sintattico e dell'uso della punteggiatura nella disposizione normativa che il divieto di scambio di oggetti ha portata generale e che, pertanto, non è ammessa una diversa interpretazione che ne restringa l'ambito applicativo al caso di eterogeneità dei gruppi di socialità. La Corte ha sottolineato che il legislatore ha inteso escludere, con scelta non sindacabile in quanto non irragionevole, che lo scambio di oggetti, sia pure all'interno dello stesso gruppo di socialità, possa essere utilizzato come forma di comunicazione non verbale e, come tale, di assai più difficile leggibilità nello svolgimento dei necessari controlli a cui i detenuti sono sottoposti. La Cassazione ha quindi annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata.