Qualcosa si è rotto, dice Matteo Salvini. Già. Ma a chi tocca riaggiustarlo? Il vicepremier leghista sembra non avere dubbi: spetta agli elettori. Se sarà così, verrà certificata la fine di una delle più improbabile coalizioni di governo: quella gialloverde nata sulla base di uno stato di necessità ( «l’unica maggioranza possibile» ) e garantita dal sottilissimo e inverosimile filo di bava del Contratto di governo, semplice giustapposizione di proclami elettorali priva di amalgama. Schiantatosi sulla madre di tutte le battaglie identitarie: la Tav. E adesso?

Adesso non c’è che da seguire la procedura istituzionalmente corretta. Non appena Giuseppe Conte dovesse rassegnare le dimissioni, non può che essere un dibattito in Parlamento a certificare il capolinea del suo mandato. Un dibattito schietto, fuori da ogni ghirigoro di convenienza e schermaglia opportunistica. Un dibattito nel quale il ministro degli Interni spieghi nel dettaglio e senza reticenze agli italiani come si è arrivati alla rottura, quali le ragioni e, possibilmente, quali i rimedi ( e con chi attuarli).

Un confronto nel quale i Cinquestelle, movimento- partito che 17 mesi fa ha sbancato le urne, spieghino come è stato possibile perdere per strada metà dei consensi e come immaginano di recuperarli: se ancora soli o braccetto di chi. Una discussione nella quale le opposizioni siano in grado di offrire una credibile prospettiva di governo. E che alla fine si concluda con un voto nella solennità dell’aula, con il quale ogni forza politica si assume le sue responsabilità alla luce del sole. Con la Lega che per arrivare allo showdown vota contro l’esecutivo di cui fa parte, e il M5S che “salva” Giorgetti e co.

Il richiamo alla governabilità non è peregrino. Perché è su quella che la coalizione gialloverde ha segnato il suo fallimento. Governabilità intesa non come patologica continuazione con altri mezzi ( e comode poltrone) della campagna elettorale. Bensì come capacità di individuare le soluzioni praticabili per i problemi del Paese. Soluzioni da riversare, possibilmente, nella prossima legge di Stabilità. Se così non fosse, gli italiani voterebbero al buio. Scenario a dir poco preoccupante. Ma ancora più inverosimile sarebbe andare avanti come se nulla fosse. Il dibattito alla Camere sarebbe l’antidoto giusto per allontanare furbizie deprimenti.