È il reato da sempre nel mirino di Matteo Salvini: l’abuso d’ufficio, articolo 323 del codice penale. Anche questa settimana il leader della Lega è tornato a chiederne a gran voce l’abolizione.

SALVINI VUOLE LA DEPENALIZZAZIONE «Metà degli interventi si sono soffermati sui tempi della giustizia. In tanti operatori, sia del pubblico che del privato, hanno chiesto il superamento di alcune fattispecie come l'abuso d'ufficio e il danno erariale», ha dichiarato a margine del maxi incontro di lunedì pomeriggio al Viminale con le parti sociali.

«Su questo la posizione della Lega è nota - ha poi aggiunto Salvini -, queste sono cose che stanno ingessando sia il pubblico che il privato». Già lo scorso maggio il vice premier, in piena bagarre sulla riforma della giustizia, aveva infatti proposto di cancellare l’abuso d’ufficio dal codice penale, preoccupato dal fatto «che ci sono 8mila sindaci bloccati che non firmano nulla per paura di essere indagati».

M5S CONTRARIO grillini, per bocca di Luigi Di Maio, avevano però subito stroncato la proposta: «Se qualcuno pensa di poter aiutare qualche governatore abolendo il reato, allora troverà non un muro, ma un argine da parte del M5s».

Raffaele Cantone, fino al prossimo mese presidente dell’Anac, chiamato in causa si era mostrato possibilista su una modifica della fattispecie, affermando che «la norma non funziona» .

Il reato di abuso di ufficio si verifica quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle sue funzioni procura «a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale» oppure «arreca ad altri un danno ingiusto». Per commettere il reato di abuso di ufficio è necessario agire «in violazione di norme di legge o di regolamento» oppure «omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti».

L'abuso d'ufficio è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

DIBATTITO FRA GIURISTI Tralasciando l’opinione di Salvini, la discussione fra i giuristi su questo reato è da sempre particolarmente accesa. La norma è stata modifica prima nel 1990 e poi nel 1997. Nel 2012, la legge Severino ha inasprito il trattamento sanzionatorio, inizialmente della reclusione «da sei mesi a tre anni».

Il problema di fondo è la possibilità data al pm di sindacare l’attività, per sua natura connotata di discrezionalità, della pubblica amministrazione.

«L’Italia è un Paese che ha 200mila leggi, decine di migliaia di regolamenti di attuazione, decine di migliaia di altre regole applicative delle leggi approvate. Ha un tasso di cambiamento vertiginoso che si aggiunge all'inflazione legislativa», affermò tempo fa il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, più volte indagato dalla Procura proprio per il reato di abuso d’ufficio.

«Bisogna mettersi nei panni di un dirigente di un ufficio appalti di un Ente pubblico e cercate di capire come sia possibile muoversi in questo ginepraio, nel quale il reato di abuso d'ufficio diventa uno di quelli che io chiamo inevitabili», aggiunse il governatore campano.

Lo “spauracchio”, infatti, è determinato dalla famigerata legge Severino che consente di sospendere dall’incarico i politici che vengono condannati anche solo in primo grado per reati contro la pubblica amministrazione.

«Un funzionario o un amministratore che venga condannato in primo grado, si vede il dimezzamento dello stipendio, il demansionamento e lo spostamento a settori non operativi. Si rovina la vita», sottolineò sempre De Luca. Di questo reato “inevitabile” le vittime sono quanto mai trasversali.

LA VICENDA RAGGI È sufficiente ricordare la vicenda del sindaco di Roma, la grillina Virginia Raggi, per l’assunzione di Raffaele Marra, il suo ex capo di gabinetto, o quella del presidente della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, per la nomina di un componente del Nucleo investimenti pubblici. Complice una giurisprudenza non sempre chiara sul punto, per evitare di rimanere anni in balia della magistratura, “l’autotutela” per il pubblico amministratore è, dunque, il non fare nulla.

A pagarne le conseguenze, però, non sono i magistrati ma i cittadini.