Ha una fibrosi polmonare conclamata che da un anno doveva essere, invano, curata tramite cicli di terapia e come se non bastasse, recentemente, gli hanno diagnosticato un tumore alla prostata: da due mesi aspetta una tac per capire come curarlo, onde evitare anche le metastasi.

È l’incubo nel quale sta vivendo l’ergastolano ostativo Mario Trudu, recluso nel carcere sardo di Oristano. La sua storia è stata narrata su queste stesse pagine de Il Dubbio, quando il suo legale Monica Murru aveva inviato un’istanza per chiedere l’incompatibilità con il carcere. Rigettata, ma con l’ordine di curarlo adeguatamente, oppure trasferirlo in un luogo idoneo per eseguire la terapia.

Niente da fare. Oltre a rimanere in carcere, teoricamente incompatibile con le sue gravi patologie, non è tuttora sottoposto alle giuste cure e, tramite una nuova perizia disposta dall’avvocata, si è scoperto che si sono ulteriormente aggravate. Trudu vive così, nel limbo, senza conoscere lo stato di gravità del suo tumore e con l’aggravarsi dell’altra sua patologia priva di cure come ordinato dal tribunale di Sorveglianza. Per questo motivo, alla luce dell’intensificarsi della patologia a causa delle mancate cure e l’insorgenza di un tumore, l’avvocata Monica Murru ha inoltrato un’altra istanza dove si insiste nella concessione del beneficio richiesto della detenzione domiciliare che, in ipotesi di accoglimento, verrebbe goduto presso l’abitazione della sorella. Però il tempo passa, il tribunale di Sorveglianza ancora non ha fissato l’udienza e Mario Trudu non viene curato.

L’avvocata Murru e Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, hanno lanciato un appello pubblico per chiedere anche l’intervento del Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma. «È forse opportuno ricordare che Mario Trudu – osservano – ha 69 e si trova in carcere da 40 anni. Le sue condizioni di salute sono precarie e appaiono incompatibili con il regime detentivo. La fibrosi polmonare è una complicazione che può portare alla mortalità. Il tumore prostatico non si ferma in attesa che qualcuno si prende la briga di avviare una cura adeguata. È noto, del resto, che un detenuto ha diritto di accedere alle strutture private convenzionate per gli accertamenti diagnostici e le cure».

Sottolineano Caligaris e Murru, facendosi interpreti delle preoccupazioni dei familiari: «Ci domandiamo perché non vengano rispettati principi e norme che non solo la Costituzione e la legge sull’ordinamento penitenziario ma anche le recenti sentenze della Cassazione e perfino le circolari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rimarcano con chiarezza in merito alla salute in cattività». L’appello prosegue ribadendo che «l’ergastolo ostativo non contempla l’esclusione del diritto alla salute che deve essere garantito a tutte le persone private della libertà in quanto diritto e valore umano».

Concludono infine Caligaris e l’avvocata Murru: «Rivolgiamo quindi un appello al Garante nazionale Mauro Palma affinché valuti l’urgenza di far rispettare le norme vigenti. Si tratta di procedere celermente alla diagnostica e a un ricovero in un Ospedale per l’intervento chirurgico e/ o in una Residenza Sanitaria affinché l’anziano detenuto possa trovare l’assistenza indispensabile per la cura delle gravi patologie in atto. Non è la libertà al centro della vicenda ma il diritto umano che deve prevalere specialmente quando le condizioni di una persona appaiono davvero gravi».