La fine di Forza Italia – perché di questo si tratta – è un tramonto senza luce. Interrompendo con atto padronale il percorso di democratizzazione del partito e rilanciando da un predelilino in sedicesimo “L’altra Italia” Silvio Berlusconi ha scelto di chiudersi con i suoi fedelissimi nella ridotta finale di un potere personale esercitato su una realtà sempre più esigua, vecchia e marginale.

Come un faraone ha deciso che Forza Italia deve essere la piramide della sua mummificata figura e di una corte che altro non è mai stata che una sua emanazione. Certo chi si era illuso come avevano fatto Mara Carfagna e Giovanni Toti di poter scrivere di propria mano una pagina nuova di una storia che è stata grande e importante contendendosi la leadership, come in un normale partito democratico, non aveva preso bene le misure alla realtà.

La storia di Forza Italia dice che Berlusconi non ha mai concepito vere alternative o possibili successioni alla sua figura e chi ha solo osato immaginare di smarcarsi da lui, di uscire dal seminato, di azzardare non solo una mossa ma un’analisi autonoma, ha fatto la fine che conosciamo.

Sono le storie di Fitto, di Alfano, dello stesso Fini, tutti puntualmente definiti degli ingrati, uomini senza qualità, senza quid. E così il faraone, che pure era stato capace, nel bene e nel male, di innovare la scena politica italiana, di immaginare un partito unitario di centrodestra, liberale e popolare, si è ritrovato via via – e il punto di passaggio è il 2008 dopo il massimo del prestigio e del consenso ottenuto - sempre più vittima e prigioniero di se stesso e del cosiddetto cerchio magico che lusingandolo ha continuato a usarlo per perpetuare la propria rete di privilegi e di potere.

Una corte che ha vissuto per più di un decennio di luce riflessa e che ha una responsabilità diretta nella puntuale soppressione sul nascere di ogni processo di rinnovamento del partito. E tuttavia la responsabilità principale è evidentemente di Silvio Berlusconi che ha continuato a raccontarsi in tutti questi anni di essere invincibile e politicamente immortale, esibendo all’infinito il noto palmares di vittorie politiche, aziendali, calcistiche, così reiterando la maschera del mattatore immarcescibile, senza accorgersi di quel confine tra la simpatia e il ridicolo il cui oltrepassamento risulta fatale.

Ma non è solo una questione di psicologia umana, dei grandi difetti di Berlusconi, che sono per converso stati anche le sue grandi virtù. Chi oggi si rivolge al presidente di Forza Italia – ed è mezzo partito a farlo, da Paolo Romani a Osvaldo Napoli, passando per la fedelissima Michaela Biancofiore, detta la valchiria del cavaliere negli anni d’oro – invitandolo a considerare il valore d’un partito plurale, partecipato e aperto, fino a ieri non si era distinto per avere pubblicamente espresso simili critiche.

E del resto queste critiche non avrebbero avuto senso, se non testimoniale, perché Forza Italia è sempre stato ed è sempre rimasto un partito aziendale, dunque un partito padronale, la cui classe dirigente – e in tempi passati ne ha avuta una di valore – ha avuto libertà di espressione fino a quando era in piena assoluta sintonia con quella del capo. Salvo poi essere rimossa al primo serio segnale di deviazionismo.

Questa dinamica per anni è stata la forza del partito di Berlusconi. Mentre gli altri partiti si laceravano nelle guerre intestine Forza Italia vantava una leadership solida in grado di rispondere con riflessi decisionali immediati alle sollecitazioni sempre più rapide della realtà politica. Solo che alla lunga questa forza, con l’appannarsi del leader e il superamento del paradigma che ha segnato il suo ciclo politico, s’è tramutata in una fatale debolezza. E ha condannato Berlusconi alla replica: lo stesso repertorio di proposte, di idee, persino di battute.

Ci sarà dunque “L’Altra Italia” forse, non ci sarà mai un’altra Forza Italia la quale resterà proprietà di Silvio Berlusconi: verghianamente roba sua. Oggi con questo nuovo predellino il Cavaliere dice ai suoi che la ricreazione è finita, che se c’è qualcuno legittimato a immaginare una strategia futura di alleanze a destra o al centro quel qualcuno è ancora e sempre lui. E c’è anche una residua abilità manovriera in questa mossa berlusconiana.

Perchè annunciando un soggetto allargato che si candida a trattare direttamente con la Lega di Salvini per la formazione di un’eventuale futuro centrodestra Berlusconi ha depotenziato la mediazione dello scissionista Toti. E al tempo ha indirizzato un segnale forte anche a Mara Carfagna la quale in questi mesi - e anche nelle ultime settimane - aveva lavorato all’ipotesi di un soggetto centrista nell’ipotesi di un’implosione di Forza Italia e di un ricombinamento del quadro politico moderato.

Anche qui il Cavaliere ha giocato d'anticipo: se invece che elezioni anticipate dovesse formarsi, con la crisi, un governo parlamentare sarebbe ancora lui a manovrare al centro con il suo nuovo soggetto federale moderato. Non certo Mara Carfagna. Ma appunto si tratta di operazioni difensive, residuali, che hanno come ambizione quella di gestire l’utile marginale di una grande storia. Un mesto tramonto appunto: triste, solitario y final.