L’enorme sviluppo delle tecnologie in medicina, per un verso consente di curare pazienti che fino a pochi anni fa non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivenza, e per l’altro in alcuni casi porta anche al prolungamento della vita in condizioni precarie e di grandissima sofferenza. Accanto alle trasformazioni tecnologiche è cambiata anche la sensibilità sociale nei confronti della sofferenza. Anche per queste ragioni il morire suscita oggi un complesso di riflessioni su tematiche etiche, giuridiche, sociali ed economiche.

Il dibattito pubblico concernente il suicidio assistito o l’eutanasia illustra la grande difficoltà di riuscire a conciliare i due principi, così rilevanti bioeticamente, della salvaguardia della vita umana da un lato, e dell’autonomia e dell’autodeterminazione del soggetto dall’altro. Dal diverso modo di interpretare il bilanciamento tra questi principi o di assegnare la priorità all’uno piuttosto che all’altro derivano una serie di implicazioni bioetiche che a loro volta sollevano interrogativi non facilmente risolvibili sul piano del diritto, in specie con riguardo al fine vita. Oggetto di questo Parere è la questione sollevata dalla Corte di Assise di Milano ( ordinanza 14 febbraio 2018), che dubita della legittimità dell’art. 580 ( a) “nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o rafforzamento del proposito di suicidio”; e ( b) nella parte in cui non distingue le condotte di semplice agevolazione da quelle di istigazione. In risposta a tali quesiti, l’ordinanza n. 207/ 2018 della Corte costituzionale ha innanzitutto osservato che l’art. 580 del codice penale è “funzionale alla protezione di interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento”, e quindi che “l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non può essere ritenuta incompatibile con la Costituzione”.

Nel linguaggio specialistico e nel linguaggio comune spesso si usano i termini “eutanasia” e “suicidio assistito” in modi diversi. È pertanto indispensabile, prima di un’analisi etica e giuridica del tema, chiarire l’uso semantico di queste espressioni. È necessario tracciare anche una distinzione sulle procedure che caratterizzano la fattispecie dell’eutanasia e quella dell’aiuto al suicidio. Eutanasia è termine polisemico, possiede cioè differenti significati, ancorché etimologicamente correlati. In generale qui la intendiamo come l’atto con cui un medico o altra persona somministra farmaci su libera richiesta del soggetto consapevole e informato, con lo scopo di provocare intenzionalmente la morte immediata del richiedente. L’obiettivo dell’atto è anticipare la morte su richiesta al fine di togliere la sofferenza; in questo senso, è inquadrabile all’interno della fattispecie più generale dell’omicidio del consenziente ( art. 579 c. p.). Altra fattispecie è l’aiuto o l’assistenza al suicidio, che si distingue dall’eutanasia perché in questo caso è l’interessato che compie l’ultimo atto che provoca la sua morte, atto reso possibile grazie alla determinante collaborazione di un terzo, che può anche essere un medico, il quale prescrive e porge il prodotto letale nell’orizzonte di un certo spazio temporale e nel rispetto di rigide condizioni previste dal legislatore.

Applicata al caso del suicidio medicalmente assistito, la metafora del “pendio scivoloso” richiama l’attenzione sul pericolo o sul rischio che una possibile legislazione, permissiva dell’aiuto medico al suicidio in circostanze particolari e ben delimitate, venga poi, inevitabilmente e al di là delle iniziali intenzioni, ad ampliare considerevolmente le maglie fino ad ammettere nella pratica casi che, nella situazione iniziale, non erano affatto previsti. Alcuni membri del CNB si oppongono al suicidio medicalmente assistito sia sul piano etico che su quello giuridico, e convergono nel ritenere che la difesa della vita umana debba essere affermata come un principio essenziale in bioetica, quale che sia la fondazione filosofica e/ o religiosa di tale valore. Su tali basi si ritiene che un’eventuale legittimazione del suicidio medicalmente assistito: a) attivi un vulnus irrimediabile al principio secondo il quale compito primario e inderogabile del medico ( e, più in generale, di ogni operatore e di ogni sistema sanitario giuridicamente riconosciuto e garantito) sia l’assoluto rispetto della vita dei pazienti, anche nei casi in cui essi stessi formulino esplicite richieste di aiuto al suicidio o più in generale di carattere eutanasico; in tale contesto si richiama il principio morale di indisponibilità della vita umana in quanto ciascuna persona ha una dignità intrinseca anche nelle condizioni di grave disabilità o compromissione della salute; b) non possa essere giustificata a partire dalla possibilità di accertare rigorosamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, la pretesa volontà suicidaria del paziente, assunta come volontà pienamente informata, consapevole, non sottoposta a condizionamenti psicologici, familiari, sociali, economici, o religiosi; c) provochi o comunque favorisca inevitabilmente un progressivo superamento dei limiti che si volessero eventualmente indicare.

Altri membri del CNB sono favorevoli, sia sul piano etico e bioetico che su quello giuridico, alla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito in presenza delle condizioni sotto indicate e accertabili. Essi ritengono che l'ascolto e l'accoglienza della richiesta di suicidio medicalmente assistito, nelle condizioni previste, vada nettamente distinta dall’istigazione al suicidio, e vada accolta in ragione dei principi etici di autodeterminazione e del dovere del medico di beneficenza: principi etici che sono peraltro in sintonia con il principio personalistico e i principi di libertà, di non discriminazione, di autodeterminazione libera e consapevole, propri del nostro ordinamento giuridico, e che, come ricordato anche dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 207/ 2018, vanno bilanciati con la tutela della vita umana e con altri beni costituzionalmente rilevanti. Si reputa che il bilanciamento di valori favorevole all'aiuto al suicidio medicalmente assistito sia eticamente e giuridicamente legittimo perché la persona ha diritto di preservare la propria dignità anche e soprattutto nelle fasi finali della vita. In certe circostanze l'esistenza si impoverisce al punto da non avere da offrire altro che sofferenze o condizioni in cui viene percepita la progressiva perdita della propria dignità. In tali condizioni va rispettata una richiesta pienamente consapevole di essere aiutati a morire, senza dover ricorrere alla sedazione continua profonda ed eventualmente affrontare l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale.