«Una nuova scuola, nuovi compagni, nuovi maestri non basteranno ad aiutare le nostre Maroua, Kamilia, Chat, Aischa, Ibba e i nostri Rayan, Valentin, Massimiliano e Abdul a dimenticare la notte degli orrori».

Le preside Candida Carrino è sfiduciata, amareggiata, preoccupata. Sono passati solo pochi giorni dal drammatico sgombero di Primavalle. Delle oltre 300 persone che vivevano lì, 82 erano minori e almeno 50 di loro frequentavano proprio l’ Istituto comprensivo “Rosetta Rossi”: la scuola della preside Carrino.

Primavalle è un ex borgata costruita durante il ventennio fascista, dove sono stati deportati i romani rimasti senza abitazione a causa dei lavori di sventramento della zona di Borgo, davanti San Pietro, là dove è stata costruita via della Conciliazione.

Lotti, case popolari e uno stradone che la taglia in due. Una storia di sgomberi che per un paradosso drammatico sembra percorrere una linea retta, fino ad oggi, a pochi giorni da un altro sgombero, quello della ex scuola occupata Don Calabria, in via Cardinal Capranica, avvenuto il 15 luglio. Nella Roma mussoliniana di allora non c’erano tv, social o così tanti operatori dell’informazione per documentare quello che succedeva e non avremmo mai visto un bambino uscire dalla sua abitazione con i libri in mano, sotto lo sguardo dei poliziotti, nascosto dai caschi. Una foto “iconica”. Un simbolo ma anche una storia in carne e ossa, perché quella dello sgombero di Primavalle è soprattutto un racconto che parla di piccoli ragazzi, di bambini.

Ora non c’è più una casa, seppur precaria, e neanche una scuola. Sembra essere stato tranciato quel legame che rende le persone dei cittadini. E’ la preoccupazione più forte per insegnanti come il professore di Educazione fisica Claudio Ortale, uno che ha avuto come alunni moltissimi dei bambini della Don Calabria. «Se come cittadini della Repubblica italiana protestiamo perché cambiano i professori frequentemente, se protestiamo giustamente perché c’è una discontinuità educativa – dice accalorandosi. Insomma se un ragazzo è cresciuto insieme ai suoi compagni, i suoi insegnanti e il personale scolastico ai quali avrà fatto pure i dispetti come è normale, perché gli si deve stravolgere questo momento di sicurezza, tra i pochi, nell’insicurezza del vivere quotidiano».

Fa caldo in questa estate romana. Gli anziani che si godono l’ombra degli alberi vicino ad un chiosco non possono nascondere le tante criticità del quartiere. A partire dalla carenza di strutture scolastiche in buono stato. Le case popolari, molte malridotte, sulle quali vengono fatti interventi blandi, poche mani di vernice che dopo poco si scrostano. Il solito problema di investimenti perché mancano i soldi. C’è un unico presidio sanitario, lo stesso da sempre nella ex borgata, che ora è in ristrutturazione dopo circa un ventennio.

«Lo sradicamento dei bambini da un territorio amico degli immigrati - spiega ancora la preside Carrino -, da una scuola solidale con loro è sicuramente deleterio per la crescita umana e sociale. Rimarranno nella memoria di questi bambini le scene orribili che hanno dovuto vivere. Come possiamo evitare che da adulti diventino violenti nei confronti di uno Stato che li ha cacciati in modo tanto barbaro».

Sembra essere una storia dal finale già scritto e che si intreccia con un altro racconto di Primavalle simboleggiato da una grande scritta che campeggia su un muro esterno della scuola: “Mario”. Ci raccontano chi era. Un ragazzino con la madre boliviana e con un padre in prigione. Mario si innamorò del basket, era forte e andò a giocare in una società importante come la Stella Azzurra, ottenne grandi risultati fino ad essere convocato dalla nazionale giovanile. Ma nel 2011 a soli 18 anni, mentre usciva dagli allenamenti con il suo motorino, fermo ad un semaforo, venne centrato in pieno da un furgone guidato da un carabiniere. Entrò in coma e morì la sera stessa.

I servizi televisivi all’indomani dello sgombero hanno cavalcato l’aspetto della contrapposizione tra italiani e immigrati oltre che occupanti. Tralasciando l’aspetto che molti dei bambini sono nati, a Roma, e come dimensione abitativa hanno avuto solo e sempre l’occupazione. Ma da cosa deriva questo scontro? E’vero? Il professor Ortale ha una spiegazione: «penso che il quartiere, come molti altri, ha cominciato a vivere male, gli abitanti convivono con montagne di rifiuti, la presenza di sole due linee di mezzi pubblici, oltre a problemi come la disoccupazione e lo spaccio. Tutti fattori che hanno incattivito le persone ma nei confronti di chi sta ancora peggio».

Inoltre lo sgombero potrebbe peggiorare una situazione già potenzialmente esplosiva. Infatti lo “spezzatino” sul territorio cittadino degli ex occupanti, costringerà i bambini a cercare nuove scuole. Al momento non si sa cosa succederà veramente. «Dovranno andare a cercare una scuola oltre Tor Vergata, vicino alla vela mai finita di Calatrava? Saranno sparsi su via Ostiense? Questo che possibilità d’inserimento produrrà? Magari si verificherà qualche episodio di razzismo nei confronti dei bambini» riflette il professore.

La promessa che arriva dalla scuola di Primavalle è comunque quella di chiedere ai servizi sociali del territorio di mettere in campo tutte le politiche assistenziali affinché i bambini non perdano il riferimento della loro scuola. La preside Carrino, insieme al corpo docente e al personale scolastico non usa mezzi termini ed «è pronta a condividere strategie di interventi per riparare al danno profondo che abbiamo causato ai nostri piccoli futuri cittadini italiani».

Nessun pietismo dunque ma una battaglia da combattere in nome di Esmeralda, Maroua, Kamilia, Kirat, Chat, Aischa, Ibba, Rayan, Valentin, Massimiliano, Abdul e tanti altri. Come dice il prof. Ortale con un velo di commozione: «siate forti».