C’è forse un solo ingrediente che tiene il lettore incollato alle pagine di un giallo più che un intreccio di potere e sangue: la suggestione che quell’intrico si nasconda sotto il nostro naso, in quel miscuglio di vero e falso che ingrandisce la realtà sotto la lente della letteratura. Lo sa bene Pino Pisicchio, autore de Il collezionista di santini. Un giallo politico ( Ed. Passigli), romanzo noir di ambientazione parlamentare che dà seguito a un fortunato filone avviato nel 2007 con il libro Onorevoli omicidi ( Ed. Koiné).

Deputato fino al 2018, giornalista e professore di diritto pubblico, Pisicchio ci porta tre le stanze di Montecitorio mettendo a servizio della narrazione un’approfondita conoscenza dei suoi abitanti illustri e della comunità che popola “l’acquario”, il lungo corridoio del Transatlantico così ribattezzato dai cronisti. Se nel primo romanzo si racconta il passaggio critico tra la Prima e la Seconda Repubblica, ne Il Collezionista di Santini troviamo le vicende politiche della XVII legislatura che fanno da sfondo a lunga scia di misfatti: da un lato l’improvviso e sospetto suicidio di un deputato candidato a guidare il partito di maggioranza, il ritrovamento del cadavere vilipeso di un famoso giornalista televisivo, l’agguato ai danni del vice- presidente dell’antimafia ridotto in fin di vita; dall’altro un fatto di sangue che ha per protagonisti due ragazzi di buona famiglia, due delinquenti improvvisati e una collezione di “santini elettorali”.

Al centro dello schema narrativo il sodalizio investigativo dei due protagonisti: una giornalista parlamentare e un deputato, che con l’aiuto di un commissario ex indiano metropolitano, indagano sui fatti criminosi tirando le fila della storia. All'efferatezza di questi misteriosi delitti corrisponde la violenza di una transizione politica che si appresta a sconquassare le aule del Parlamento con l’irrompere delle forze populiste e l’insediamento della cosiddetta Terza Repubblica. L’autore si avvale così dello strumento della fiction per denunciare la cruenta “eliminazione” istituzionale della vecchia guardia politica, contestando il dilettantismo e l’inadeguatezza della nuova attraverso aneddoti esilaranti e dialoghi sagaci.

Se la politica perde la sua autorevolezza e si fa intrattenimento, e l’informazione perde la sua bussola a discapito del gossip, si può persino immaginare uno scenario distopico in cui i candidati vengono selezionati nell’arena di un reality show. «Il buco nero della comunicazione persuasiva alla fine si mangia la politica», commenta Pisicchio che nella stessa evoluzione estetica dei santini elettorali legge l’impoverimento dei programmi e il declino delle idee. Quegli slogan spesso “inconsapevolmente comici” che accompagnavano il simbolo di partito sono ormai materiale da collezione, al loro posto una propaganda da “spot pubblicitari” che riorganizza il consenso attorno al tema della Casta con un lessico completamente diverso dal passato.

E ancora riflessioni su Debord, il situazionismo e la società dello spettacolo: l’autore costella il suo racconto di citazioni ed episodi che ben ci rendono le ipocrisie e le contraddizioni del nuovo clima culturale. Prendiamo uno dei luoghi topici del libro: la mitologica barberia di Montecitorio. Se nella storia del Palazzo il salone si era affermato come scenario di compromessi istituzionali e terreno per chiacchiere bipartisan, ecco che questo diventa il simbolo del privilegio parlamentare e langue moribondo sotto i colpi dell’ondata antipolitica.

Un altro tema centrale che attraversa l’intera narrazione è la schizofrenia del sistema elettorale. Con l’alternarsi di ben cinque leggi per le politiche dal 1993 - commenta Pisicchio per bocca dei suoi personaggi - il Parlamento è passato dal voto di preferenza al vuoto di rappresentanza: i cittadini non scelgono più i parlamentari ma votano per il simbolo di partito. E di nuovi simboli e “distintivi parlamentari” ci parla anche il protagonista dalle ultime pagine del romanzo, quando, sopravvissuto al naufragio politico del marzo 2018 che porterà al contratto Giallo-Verde, riflette sulla moda dell’asola ripiena di stemmi in voga tra i nuovi arrivati: “Gli psicologi la spiegano con la teoria del gruppo minimo: da questa parte noi; dall’altra parte i nemici”.