«Caro fratello noi prigionieri in fondo possiamo definirci “diversamente in vita” o “diversamente liberi”, e snaturati dal vivere e privati della libertà siamo stati dai giusti giustiziati nell’essenza di esistere. In noi ormai l’esserci non ha più dimora nella parola; esistiamo perché presenti in quanto corpi, e proprio perché ridotti a sola materia, non comunichiamo più attraverso la parola quell’esserci nel mondo in quanto presenza pensante».

È un passaggio di una delle tante lettere scritte da un ergastolano al 41 bis. Si chiama Davide Emmanuello, nato nel 1964 a Gela, boss mafioso. In carcere dal 1993, ha a suo carico tre condanne all’ergastolo per omicidio. Di ventisei anni di carcere, ne ha trascorsi finora ventidue in 41 bis, regime al quale è tuttora sottoposto. Di tutte queste lettere, scritte quando era al super carcere sardo di Bancali, ne sono state fatte una raccolta e pubblicate in un libro edito da “Libriliberi Editore” e curato dalla giornalista Francesca de Carolis, sempre in prima fila per i diritti dei detenuti e in particolare sul tema dell’ergastolo e il 41 bis.

Temi impopolari, ma dove ultimamente, grazie alle recenti sentenze della Corte europea dei diritti umani e della Cassazione, si sta aprendo uno squarcio di luce. De Carolis racconta che di Davide Emmanuello ha iniziato ad interessarsi dopo una notizia che allora le sembrò “bizzarra”. «A Emmanuello – racconta la giornalista - era stata vietata la lettura del romanzo di Umberto Eco, “Il nome della rosa”. Libro ritenuto “pericoloso per l’ordine e la sicurezza”». Dal carcere di Ascoli Piceno, nel quale allora Emmanuello si trovava, è in seguito arrivata una vaga smentita, e l’ipotesi di un possibile divieto motivato dalla pericolosità “materiale” del libro ( nei regimi differenziati non entrano libri con copertina rigida) piuttosto che da pericolosità dei contenuti. Sempre De Carolis ha cominciato ad interessarsi, all’epoca, della realtà del 41 bis. Le 23 ore di isolamento al giorno, la sola ora d’aria ( e le tre persone al massimo con cui è possibile parlare in quell’ora), le finestre delle celle schermate, la sola ora al mese di colloquio con familiari ( e con vetro divisorio) alternativa a dieci minuti di telefonata, il divieto di cucinare cibi, la censura di posta e libri, ai quali è stata data ultimamente un’ulteriore stretta. «Se i libri rimangono l’unica forma di “resistenza” alla deprivazione sensoriale a cui si è sottoposti – spiega sempre De Carolis-, ho provato a immaginare cosa sono, a cosa servono e dove possono portare, diciotto anni di nulla».

Alcune immagini di questo inferno sono svelate con lettere che Emmanuello ha scritto negli ultimi anni. Lettere tremende – tutte regolarmente passate al vaglio della censura - come questa e raccolta nel libro: «Continua il mio viaggio nelle viscere degli inferi. Sono rassegnato e consapevole che questo luogo voluto per l’annientamento non sopprimerà il mio corpo, ma agirà sulla psiche e attraverso la coscienza farà dell’anima l’inferno del corpo. L’istituto è moderno, non in senso illuminato, ma di nuova riproposizione oscurantista del supplizio come pena. In pratica un “ecomostro” per soggetti trattati al di fuori dei canoni dell’esperienza etica della libertà e dei diritti umani. L’apparente agibilità estetica del nuovo nasconde lo squallore degli spazi ridotti e claustrofobici, ordinati in senso verticale cosicché allo sguardo è tolto ogni orizzonte così come alla speranza di libertà la pena ostativa ha posto la parola fine. Ho solo un piccolo cielo che dal sotterraneo intravedo alzando lo sguardo in verticale: il cielo del passeggio(...)» . Le lettere di Emmanuello non potevano restare sulla scrivania di De Carolis. Per questo le aveva spedite a Pino Roveredo, oltre che scrittore, Garante dei detenuti del Friuli Venezia Giulia. Se ne è lasciato straziare e a queste lettere le ha risposto con la potente scrittura di cui è capace. Così ne è nato il libro a loro firma. “Diversamente vivo, lettere dal nulla del 41bis”, di Davide Emmanuello e Pino Roveredo. Edito da Libri Liberi, casa editrice fiorentina.