Come ogni anno, dal mese di giugno, è in corso la campagna “carceri aperte”. Una iniziativa europea, quest’anno giunta alla decima edizione, promossa dall’associazione “Bambinisenzasbarre” in collaborazione con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Continua ancora adesso, tanto che all’associazione giungono tuttora le testimonianze da parte di numerosi istituti penitenziari.

Ad esempio c’è il carcere sardo di Uta, che ha ottenuto un bel risultato attraverso il laboratorio creativo a cui hanno partecipato i bambini con i loro papà detenuti. Oppure c’è il carcere calabrese di Catanzaro, dove la direttrice Angela Paravati ha dice: «In primo luogo i bambini che hanno i genitori in carcere non hanno alcuna colpa eppure pagano una perdita inevitabile in termini di affetto e vicinanza in un’età in cui è più che mai importante la presenza quotidiana del genitore; in secondo luogo i figli sono il miglior motivo che può avere una persona che ha sbagliato per tornare ad essere una persona per bene. Avere un affetto “fuori” è uno stimolo continuo per i detenuti a studiare e a migliorarsi». Ancora c’è il carcere romagnolo di Ravenna, dove è stata organizzata una festa assieme ai bambini, figli di detenuti, con tanto di gazebo e una piccola piscina.

La campagna è attiva, negli istituti penitenziari, con eventi di sensibilizzazione al tema delle relazioni figli- genitori ( conversazioni, mostre, rappresentazioni, feste, eccetera), dove “l’incontro” è lo strumento fondamentale per conoscere, capire, approfondire e acquisire consapevolezza. Obiettivo della campagna è focalizzare l’attenzione sul tema dei figli dei detenuti in Italia e in Europa, partendo dalle Convenzioni dell’Onu e dell’Ue, che sanciscono il diritto di ogni bambino a mantenere un legame continuativo con i propri genitori, anche se detenuti, perché tale legame è la base della crescita di ogni bambino.

“Carceri aperte” si inscrive all’interno della campagna europea “Non un mio crimine, ma una mia condanna” (“Not my crime still my sentence”), promossa da Cope (Children of Prisoners Europe), un network di organizzazioni europee. Una “condanna” che vuol dire spesso emarginazione, angoscia, stigmatizzazione, da parte della società nei confronti dei bambini figli di detenuti (oltre centomila ogni anno in Italia e oltre 2,1 milioni nell’Europa dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa). Sono 21 le organizzazioni che fanno parte della rete europea Cope: “Bambinisenzasbarre” è il rappresentante dell’Italia e fa parte anche del Board of Directors. A queste organizzazioni si aggiungono 20 “individual members”, 6 “applicant members” e 50 “affiliati” per un totale di quasi 100 soggetti.

Fra gli obiettivi fondamentali della campagna la diffusione delle linee guida della “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”, creata ( unica in Europa), firmata e rinnovata ( già tre volte) da “Bambinisenzasbarre”, dal ministero di Giustizia e del Garante per l’infanzia e l’adolescenza. L’Associazione “Bambinisenzasbarre Onlus”, ricordiamo, è impegnata da oltre 15 anni per il mantenimento della relazione figlio genitore detenuto.

È attiva in rete sul territorio nazionale con il modello di accoglienza Sistema Spazio Giallo e Campagne nazionali di informazione. Il modello di accoglienza rappresenta il punto di partenza per sviluppare un intervento organico di sostegno ai bambini e alle famiglie che entrano in carcere per incontrare il papà o la mamma, una pratica che sensibilizza la polizia penitenziaria, ogni giorno impegnata a ricevere i bambini che accedono in carcere riconoscendone i bisogni.