La riforma di Bonafede. Quando è stata lanciata, la sfida è stata accolta con scetticismo.

«Lo stop alla prescrizione entra in vigore a inizio 2020», spiegarono il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e la plenipotenziaria della Lega Giulia Bongiorno, «ma prima di allora porteremo a termine una riforma penale che riduca i tempi dei processi».

Ora è difficile stabilire se le modifiche riusciranno a evitare il corto circuito nei Tribunali.

Una prima tappa

Certo è che domani potrebbe essere completata una prima importante tappa del percorso ipotizzato dal guardasigilli.

Alle 16 è fissata la riunione conclusiva del “tavolo” con avvocati e magistrati sulla riforma.

Bonafede presenterà le pochissime modifiche alla bozza sulla quale c’era stato il consenso di massima già ad aprile, sia da Cnf, Ocf e Ucpi che da parte dell’Anm.

Si valuterà se c’è margine per qualche ulteriore minimo correttivo.

Dopodiché il ddl delega sarà pronto per essere discusso, forse già entro la fine della settimana, in Consiglio dei ministri.

Il passaggio alle Camere

Poi si dovrà consegnare la legge delega alle Camere, ottenere il via libera e rimandare in Parlamento i decreti legislativi, che vanno comunque sottoposti al parere di deputati e senatori.

Il tutto entro il 31 dicembre. Possibile? Bonafede è determinato a farlo.

E, come fanno notare a via Arenula, «sarebbe paradossale se a rallentare fosse proprio la Lega, che dovrebbe avere tutto l’interesse a completare la riforma penale prima che entri in vigore la nuova prescrizione».

Di sicuro, per accelerare l’iter, si darà precedenza alla parte del ddl delega relativa al processo, sia penale che civile.

I decreti che riguardano l’altro capitolo della riforma, dedicato al Csm, saranno definiti dopo.

E in ogni caso, quella parte del testo di Bonafede sarà “aperta”. Con pochi dettagli e una semplice indicazione degli obiettivi.

Le modifiche alla procedura penale e civile saranno invece richiamate con puntualità, pur senza precludere limature in Parlamento.

Ma per il civile la strada pare suscettibile di ben poche correzioni, considerato che la mediazione trovata al tavolo con avvocatura e Anm è stata più faticosa.

Nel testo di partenza, via Arenula aveva ipotizzato, per esempio, di cristallizzare l’atto introduttivo con preclusioni e decadenze istruttorie, poi accantonate.

Il confronto sul processo penale

Nel processo penale c’è invece ancora qualche margine di oscillazione. Se n’è avuta prova indiretta dal botta e risposta a cui hanno dato vita, nell’ultimo week end, lo stesso Bonafede e il nuovo presidente dell’Anm Luca Poniz.

Dietro le obiezioni della magistratura per i tempi troppo stretti lasciati alla discussione finale, c’è in realtà il dissenso del “sindacato” su una norma specifica: il vincolo, per il capo dell’ufficio inquirente, a segnalare a fini disciplinari il ritardo del pm nel chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione.

Dall’altro fronte, però, c’è la richiesta dell’Unione Camere penali, perplessa per il fatto che, allo stato, non è attribuita al gip la facoltà di verificare la tempestiva) iscrizione a registro - da parte del pm delle persone indagate.

I penalisti hanno chiesto, finora senza esito, anche di subordinare a un contraddittorio la concessione delle proroghe.

Parziali motivi di insoddisfazione su cui si discuterà domani.

Il termine per le indagini preliminari

Resta invece fermo l’innalzamento generalizzato a 12 mesi del termine ordinario per le stesse indagini preliminari.

Possibilità di chiedere e ottenere dal gip una proroga “per giusta causa” di 6 mesi, e di ulteriori 6 mesi solo per i reati più gravi e i casi di maggiore complessità.

Scoccato comunque il termine invalicabile ( di 18 o di 24 mesi, a seconda del reato), il titolare dell’inchiesta ha l’obbligo di esercitare l’azione penale o di chiedere l’archiviazione.

Se non lo fa, il fascicolo è messo a disposizione della difesa 90 giorni dopo e nel frattempo, appunto, il pm ritardatario resta esposto alla segnalazione disciplinare.

Si tratta della modifica più rilevante. Ce ne sono altre che riguardano sempre la fase preliminaree nanzitutto la norma che vincola il magistrato che indaga a presentare “al giudice” la “richiesta di archiviazione” quando “ritiene che gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere utilmente l’accusa in giudizio”.

A tale responsabilizzazione corrisponde l’acccresciuto potere di “filtro” attribuito al gup, a sua volta chiamato in modo esplicito a pronunciare “sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.

Un capitolo importante della riforma penale è dedicato ai riti alternativi, vera chiave dei tempi del processo sia dal punto di vista di Cnf, Ocf e Ucpi che per l’Anm.

Col patteggiamento, in particolare, sarà possibile ridurre la pena “sino alla metà” sia nel caso delle “contravvenzioni” sia per i “delitti” qualora la “richiesta di applicazione della pena intervenga durante la fase delle indagini”.

Rimosse le “preclusioni oggettive ( al patteggiamento, ndr) previste nell’art. 444 co. 1 bis codice di procedura penale”.

Eliminate anche le “preclusioni soggettive”. E soprattutto, è innalzata la pena massima che può essere richiesta dalle parti.

Ai due binari principali, indagini e riti alternativi, si aggiungono vari assi secondari ma pure utili: le diverse possibilità, ad esempio, di pervenire comunque alla definizione accelerata del procedimento anche quando il giudice respinge la richiesta di giudizio immediato.

Non si tratta di rivoluzioni ma di un restyling mirato. E realizzato, soprattutto, secondo le indicazioni di avvocati e magistrati, cioè con l’apporto di chi davvero conosce le cause che rallentano la macchina. Difficile sapere se basterà, ma le incertezze non paiono giustificare ulteriori esitazioni politiche.