Il bonus bebè spetta anche alla mamma marocchina lavoratrice, anche se non munita di permesso di soggiorno di lunga durata. L’Inps aveva bocciato la richiesta, ma la sezione Lavoro del Tribunale di Termini Imerese, in provincia di Palermo, afferma la «natura discriminatoria» del comportamento dell’istituto per la previdenza sociale e accoglie il ricorso di Khadija, che, secondo il giudice Teresa Ciccarello, non può subire un trattamento diverso rispetto alle donne italiane. È stata così applicata direttamente una norma europea, non recepita dal nostro Paese, ma vigente a tutti gli effetti, proprio perché evita questo tipo di differenze. Al centro della questione, sollevata dagli avvocati Alessandro Ribaudo e Monica Nanfa, c’è appunto la mancanza del permesso di soggiorno di lavoro di lunga durata.

Requisito intorno al quale si è discusso a lungo anche a proposito del riconoscimento di altri diritti e servizi sociali, anche rispetto alla legittimità costituzionale di alcune preclusioni.

Ora, secondo il giudice del Tribunale di Termini Imeresi, c’è una norma europea, la direttiva 2011/ 98/ Ue, chge prevale sulla legge nazionale, imponendo la parità di trattamento tra i lavoratori stranieri e i cittadini dello Stato che li ospita. Questo soprattutto per ciò che riguarda il settore della sicurezza sociale, compresi i trattamenti di maternità e paternità assimilati e le prestazioni familiari. «Condizionare il riconoscimento del bonus bebè - si legge nella sentenza - al possesso da parte dei cittadini extracomunitari del permesso di soggiorno di lungo periodo, crea una disparità di trattamento fra cittadini italiani e stranieri, ove questi siano anche lavoratori».

Ecco perché nel mancato riconoscimento del bonus bebè emerge una «natura discriminatoria» e «il diniego dell’Inps è espressione di un comportamento discriminatorio, seppur in applicazione di una norma di legge».