Federalismo fiscale. «Senza le autonomie il governo non va avanti», ha minacciato ieri la Lega dopo la fumata nera nel vertice di governo di martedì sera. Ma la vera domanda è un’altra. Con le autonomie del Nord il Paese andrebbe avanti, una volta compiuta la cosiddetta secessione dei ricchi ai danni del Sud? Ora la risposta c’è e arriva dai tecnici dell’ufficio legislativo di palazzo Chigi. Che in dodici pagine hanno smontato pezzo per pezzo il progetto del Carroccio e irritato Salvini, fuggito via dopo essere rimasto inchiodato dai numeri. L’autonomia non sarebbe a costo zero – hanno scritto gli esperti – ma sposterebbe «verso l’alto il valore medio della spesa nazionale pro- capite. Il bilancio dello Stato è a rischio, così come è a rischio l’unità giuridica ed economica del Paese».

È una diagnosi molto preoccupante del senatore del M5s, Vincenzo Presutto, vicepresidente della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che di mestiere fa il commercialista e il revisore dei conti.

Eppure le carte dell’autonomia del Nord nessuno ha potuto ancora esaminarle, tecnici a parte.

Non c’è alcun dubbio. Il regionalismo differenziato non è a costo zero. Checché se ne dica implica necessariamente maggiori costi a tutela dei pubblici servizi. Delle due l’una: o di questi ulteriori esborsi si fa carico lo Stato, oppure le regioni. Chi finora ha detto il contrario, era lontano dal rappresentare la realtà finanziaria del nostro Paese.

Che l’autonomia non avrebbe avuto costi, lo hanno ribadito decine di volte i ministri Stefani e Salvini. Hanno parlato di una campagna diffamatoria contro il Nord. Ma perché non presentano le bozze dell’intesa, per dirimere dubbi e insinuazioni? Quanto costa il pacchetto?

È un momento di grande confusione. Sarebbe pertanto necessaria un’operazione verità sui conti, proprio come richiesto dalla mia collega Carla Ruocco ( il presidente della commissione Finanze della Camera, ndr.). Prima di procedere con l’autonomia, sarebbe indispensabile un’indagine conoscitiva del Parlamento. I cittadini hanno il diritto di conoscere i costi del regionalismo, e il Parlamento quello di individuare eventuali correttivi a tutela della solidarietà tra le regioni. Il modello autonomista deve essere improntato a quello della riunificazione tedesca, dove la Germania dell’Ovest aiutò a crescere la Germania dell’Est. Le nostre regioni più virtuose dovrebbero correre in soccorso di quelle più svantaggiate, come previsto dalla riforma costituzionale del 2001. Ma da quando è stato introdotto il federalismo fiscale, lo Stato non ha fatto nulla in proposito. La riforma è rimasta inapplicata.

Di quanti soldi parliamo?

Non lo sa la mia commissione, e non lo sanno gli altri parlamentari. Finora non ci è stata né sottoposta né annunciata alcuna bozza. Nessuno sa quali siano nel dettaglio le richieste di Veneto e Lombardia. Ci piacerebbe conoscerle, onde quantificarne i costi in termini finanziari. È assolutamente necessario comprendere la sostenibilità dell’operazione. Oggi il debito è enormemente più elevato che nel 2001, e corriamo grossi rischi. Quali coperture sono state individuate? Si gioca a carte coperte.

È tutto pronto, dice la Lega. Ma quali sono i rischi del progetto?

Per alcuni aspetti l’autonomia differenziata è uno strappo al dettato costituzionale. Lo ha già chiarito anche il ministro Tria: il regionalismo differenziato è incostituzionale, e ciò che finora è stato elaborato, è stato fatto male. La volontà di trattenere il surplus fiscale sul territorio, per fare un esempio, era apertamente incostituzionale perché stabiliva per i più ricchi, maggiori diritti ad avere servizi pubblici. Ma fortunatamente questa pretesa è stata cassata.

Lombardia e Veneto chiedono autonomia su tutte e ventitré le materie disponibili. Vogliono maggiori poteri delle regioni a statuto speciale, in violazione della Carta.

È questo il modello cui guardano i promotori dell’intesa. Si sostiene che l’autonomia del Nord serva a contenere le spinte centripete secessioniste entro margini accettabili. Il problema è però che le richieste inoltrate dalle regioni del Nord, vengono dalla mancata attuazione del federalismo. Che ha peggiorato il divario esistente tra Settentrione e Meridione e ha spinto le regioni ricche a una forzatura. Come si fa a realizzare l’autonomia differenziata, se ancora non sono stati individuati i criteri di attuazione del federalismo?

Lei descrive una fuga in avanti abbastanza allarmante. Che cosa bisognerebbe fare prima di parlare di autonomia?

Dovremmo definire i Lep innanzitutto. Ovvero quei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare in modo omogeneo in tutta Italia a garanzia dei servizi minimi cui ha diritto il cittadino. Sono in Costituzione, ma nessuno li ha mai realizzati. In secondo luogo, se non definiamo i Lep non possiamo individuare neppure i fabbisogni standard e calcolare le risorse necessarie per il fondo perequativo.

Quella della perequazione, ossia del meccanismo di redistribuzione delle risorse, è una situazione tragicomica. La Costituzione dice che dev’essere integrale, ma oggi è «integrale al 48,5 per cento». Metà delle risorse scippate al Sud: un dato che fu secretato dalla commissione per il Federalismo guidata nel 2015 da Giorgetti.

Non c’è più nulla che debba restare segreto. Siano consegnate le carte, gli italiani hanno il diritto di sapere. Se qualcuno nega loro questi diritti, evidentemente lo fa perché c’è qualcosa da nascondere.

Molti italiani non sanno che già da tempo, a fronte del 34& della popolazione, il Sud riceve solo il 28% degli investimenti. Mentre il Nord, che rappresenta il 65,7% della popolazione, riceve il 71 per cento della torta. Fanno 61 miliardi di euro, sottratti ogni anno al Meridione.

Paradossalmente, la vera attuazione del federalismo potrebbe correggere queste evidenti distorsioni. Del resto tra Nord e Sud c’è un divario sempre più abissale. Che non possiamo permetterci di approfondire ulteriormente, in danno dell’Italia stessa. L’Italia spaccata in due non serve a nessuno.

Altro tema divisivo è quello del percorso delle autonomie. La Lega pretende un’intesa blindata, prendere o lasciare, che taglia fuori il Parlamento. Accettabile?

Più che inaccettabile, è una richiesta incostituzionale. Punto. La bozza preliminare concordata tra Regioni e governo dev’essere presentata a entrambi i rami del Parlamento. Che devono esaminare le richieste, valutarne i costi, e poterle emendare nel rispetto del dettato costituzionale.

Se la Lega dovesse impuntarsi e vi imponesse l’autonomia così com’è, minacciando altrimenti la caduta del governo, che cosa risponderebbe il M5s?

La Costituzione vale più di un governo. Sarebbe questa la nostra risposta.