Diciamocelo chiaro, siamo il Paese che adora gli ultimatum. Ci piace chi sbatte i pugni sul tavolo: meglio, ovviamente, se sono quelli nostri e il tavolo è altrui. Ma è il gesto stesso che ci appassiona, la volitivitá che contiene ci appare espressione di forza e determinazione. Qualità che spessissimo vengono invocate in quanto assenti in chi dovrebbe prendere decisioni e non lo fa. La sindrome dell’uomo forte è coeva al nostro modo di essere: e del resto non era lo stesso Machiavelli a invocare un Principe per riunire la Penisola sotto un unico comando?

In verità c’è anche un’altra ragione che ci fa tanto amare il guanto di sfida, e che strutturalmente affiora quando lo scontro si fa serio: la consapevolezza che gli ultimatum verranno disattesi e non succederà nulla. Se non proprio sempre, quasi. È dentro questa cornice socio- politicoidentitaria che si sviluppano le convulsioni di un governo e di una maggioranza perennemente in bilico proprio a causa della raffica di intimazioni che vogliono essere definitive e non riescono a esserlo mai. Quella lanciato da Matteo Salvini sulla flat tax è di questo tipo e si assomma ai tanti sventolati dai compagni di strada dei Cinquestelle su reddito di cittadinanza e politiche Ue e dal premier medesimo ai suoi dioscuri in diretta tv: o smettete di litigare o me ne vado.

Il fatto che alle stentoree minacce non segua mai - almeno finora è stato così, chissà se saremo smentiti a breve - la coerenza dei gesti è perché la realtà scolpisce il perimetro delle opzioni e da quei confini non ci si può discostare. Il vicepremier leghista fa la voce grossa ma non rompe perché alternative soddisfacenti non ce ne sono. Idem per Di Maio e Conte. Perciò la realtà è che ultimatum di questo tipo più che di forza sono segni di debolezza. Con tutto quel che comporta.

Giorni fa parlavamo di un trittico micidiale che stringe l’Italia come un sudario: la crisi politica del binomio gialloverde; la crisi economica che adesso è uno spettro con le forme della procedura d’infrazione; la crisi della magistratura dopo le pastette sul “carrierismo” esplose nel Csm. Bene. Anche Sergio Mattarella ieri si è presentato con un ultimatum a palazzo dei Marescialli. Ma il suo non è finto. Al contrario racchiude il senso di smarrimento e sconcerto dei cittadini di cui il capo dello Stato si è fatto interprete. Gli altri sono di cartapesta; questo è pesante come un macigno. Non è difficile capire quale abbia la priorità.