Giovanni Tria è un uomo di vecchio stampo: poco incline alla comunicazione sincopata della sua maggioranza. Perciò, quando gli chiedono se vuole o meno introdurre la flat tax, il ministro dell’Economia replica che “non si può fare a deficit”. E’ come dire: l’acqua è bagnata. Tanto basta, però, ad iscriverlo di diritto nel partito contrario alla tassa piatta. Ed a scatenare la canizza politica.

In realtà, Tria ha già detto di essere favorevole ad una riforma fiscale. E di recuperare le risorse necessarie dalla cancellazione degli “80 euro”. Con i 10 miliardi così individuati avrebbe in mente di operare una rimodulazione degli scaglioni e delle aliquote Irpef. Magari accorpando le aliquote più basse ed innescare un sistema di detrazioni per evitare appesantimenti tributari per le fasce meno fortunate di contribuenti.

Di certo, lo schema che il ministro dell’Economia ha in mente non coincide con quello di Salvini di una tassa piatta al 15%; e tantomeno con il principio di fiscalità familiare tanto cara ai 5 Stelle, che altro non è il quoziente familiare tanto caro all’Udc.

Il risultato di questo equivoco di fondo è il surplasse. E non soltanto per l’incomunicabilità fra le diverse posizioni; ma anche per conquistare tempo fino alla chiusura – a fine luglio – della finestra per le elezioni anticipate in autunno. Fino alla fine del prossimo mese si assisterà ad uno stucchevole balletto: Salvini chiede la flat tax, ben sapendo che la tassa non sarà affatto piatta; dall’altra, il ministro dirà che argomenti del genere dovranno essere affrontati con la legge di Bilancio per il prossimo anno. Che il governo dovrà inviare a Bruxelles entro il 15 ottobre.

Il problema è che in quella legge di Bilancio dovrà anche essere affrontato il capitolo “aumento dell’Iva”. Salvini e Di Maio fanno barricate contro l’ipotesi. Eppure, proprio la Lega ed il Movimento 5 Stelle hanno votato la finanziaria dello scorso anno che conteneva l’aumento dell’Iva per 23 miliardi.

Nelle segrete stanze, Conte e Tria hanno spiegato ai Dioscuri della maggioranza che senza la promessa di quell’aumento dell’Iva, la Commissione non avrebbe dato il via libera al Bilancio italiano. Salvini e Di Maio, però, si guardano bene dal dirlo. Eppure lo sanno.

Quei 23 miliardi di aumento dell’Iva che dovrebbero scattare il prossimo sono stati la mossa della disperazione di Conte dello scorso dicembre. Raddoppiando l’aumento  dell’Iva promesso da Gentiloni, l’attuale premier ha garantito a Bruxelles un maggior contributo italiano al bilancio Ue per 230 milioni, contro i 120 ipotizzati dal precedente governo.

E’ per queste ragioni che dalle parti della Commissione sono particolarmente seccati con l’attuale governo. Dopo aver messo nero su bianco che l’Italia si impegnava ad aumentare di 230 milioni (con l’aumento dell’Iva) il proprio contributo europeo, ora Salvini e Di Maio dicono che non ci stanno a rispettare l’impegno. E la vendetta della Commissione non si è fatta attendere. Benché in tutti i documenti ufficiali il governo dica che l’aumento dell’Iva ci sarà, a Bruxelles prendono per buone le parole dei Dioscuri della maggioranza e calcolano il deficit nostrano già aumentato: come se quell’incremento non dovesse mai scattare, come dicono i due vice presidenti.

Risultato, la Ue stima il deficit del 2020 al 3,5%. E’ per queste ragioni che la procedura d’infrazione rischia di essere accolta dall’Ecofin del 9 luglio prossimo. Una circostanza che potrebbe essere scongiurata se solo tutto il governo remasse dalla stessa parte. In realtà, così non è. E non solo per le dichiarazioni politiche di Salvini e Di Maio.

All’Ecofin di Lussemburgo di ieri, Tria ha provato a spiegare a Moscovici che in realtà i conti di quest’anno potrebbero andare meglio del previsto; ma non si è voluto sbilanciare oltre. Ovviamente, le rassicurazioni del ministro non sono state sufficienti. Il Commissario europeo avrebbe gradito anche sapere come e perché il deficit dovrebbe migliorare. Tria gli ha garantito che sarà così, ma senza fornire dettagli. Il ministro non si fida di comunicare formalmente a Bruxelles un aumento strutturale delle entrate di oltre 5 miliardi, assicurato dall’introduzione della fattura elettronica.

Vuole prima verificare come un annuncio del genere verrà preso dalla sua maggioranza. Eppure, con quei 5 miliardi strutturali aumenterebbe l’avanzo primario, si ridurrebbe il deficit strutturale e si potrebbe allontanare la procedura d’infrazione per debito eccessivo. Eppure, Tria tiene queste cifre nel cassetto. Ed il motivo di questa scelta resta un mistero.