Alla fine Donald Trump se ne è tornato negli Stati Uniti e la politica britannica è ripartita da dove era rimasta, vale a dire dalle dimissioni della premier conservatrice Theresa May, che ha rispettato la data annunciata.

Continuerà a ricoprire la carica fino al 22 luglio, quando sarà noto il suo successore alla guida del Partito Conservatore e di conseguenza il nuovo inquilino di Downing Street.

Secondo tutte le previsioni sarà Boris Johnson a prendere il suo posto, ma gli sfidanti sulla carta sono moltissimi, e dovranno comunque passare non solo dal voto all’interno dei Tories ( circa 150mila iscritti al partito), ma anche dal vaglio del Parlamento.

Nonostante l’evidente scomodità della poltrona, tanto più apoco più di tre mesi dalla nuova data di scadenza della Brexit prevista per il 31 ottobre, e nonostante la crisi profonda dei conservatori ( alle Europee hanno raggiunto un impensabile minimo storico dell’ 8%), il desiderio di sedersi sullo scranno più importante della Gran Bretagna ha spinto quasi tutti i big del partito a farsi avanti.

I candidati sono almeno undici, ma la recente modifica delle regole per le candidature porterà a uno sfoltimento finale di questa nutrita pattuglia.

Il favorito è secondo tutti gli osservatori l’ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri Boris Johnson, da sempre tra i più accesi sostenitori della Brexit tanto che proprio su questo conflitto si è consumata la sua rottura con la May e la sua uscita dal governo.

Ora Johnson vuole riprendere la guida del proprio partito e ancorarlo saldamente alla linea di uscita dall’Unione europea, tanto che in una riunione ha avvisato che è meglio prepararsi al “no deal”, una prospettiva che Theresa May ha fatto di tutto per scongiurare al punto di mettere fine alla sua carriera politica.

Popolare nella base, e forse capace di riportare l’elettorato brexiteer all’interno dei tories, non è però molto amato dai colleghi che lo considerano inaffidabile, lunatico ed eccessivo nei modi. Il che è un problema perché i candidati per il ballottaggio fra gli iscritti saranno selezionati nelle votazioni a oltranza dei parlamentari conservatori.

L'' anti- Johnson' sarebbe Michael Gove, ministro dell'Ambiente, quotato soprattutto perché sembra quello più in grado di unire le preferenze di tutti gli avversari dello scalpitante ex sindaco. Se riuscirà a federare l’ostilità nei confronti dell’ingombrante Boris, potrebbe spuntarla a sorpresa.

Nato in Scozia, arrivò terzo nelle elezioni del 2016 del Partito conservatore. È stato uno dei primi politici a sostenere pubblicamente la Brexit, ma ha affermato che lasciare l’Unione europea senza accordo «non era il messaggio della campagna che ho contribuito a condurre». Insomma, un profilo più moderato di quello di Johnason.

Buone chances anche per Dominic Raab, per un periodo segretario alla Brexit ma dimessosi perché ha posizioni più radicali della May. Il ministro David Lidington è apprezzato perché considerato una figura meno divisiva degli altri e potrebbe avere le sue chance.

Il ministro degli Esteri Jeremy Hunt si gioca anch’egli le sue carte, al referendum sostenne il Remain ma poi si è allineato sulla Brexit in segno di rispetto della volontà degli elettori.

In campo è sceso anche il ministro degli Interni di origine pachistana Sajid Javid, nemico dell'immigrazione e in origine pro- europeo nonché fautore di un secondo referendum.

Poche le donne in lizza in una compèetizione quasi monosessuata, la più forte sembrerebbe Andrea Leadsom, che già sfidò la May, determinata e intransigente nelle sue posizioni è considerata una potenziale Lady Di Ferro, ovviamente anche lei è una pro- Brexit.

Amber Rudd, vicina a Theresa May, incarna invece l’anima più europeista e liberal del partito, ma le sue possibilità di vincere la corsa alla successione della premier sono davvero molto poche.