Non sarà un protagonista del nuovo Europarlamento il costituendo “gruppo sovranista” promosso da Matteo Salvini. La politica non è soltanto una questione di numeri. Anzi, non lo è quasi mai in maniera decisiva, ma di idee, di rapporti, di valori, di interessi e di convenienze. Valutando tutto ciò è difficile mettersi insieme per formare un’alleanza quando si realizza che pur restando sullo sfondo una sostanziale condivisione progettuale da parte dei soggetti interessati, sono proprio le questioni più specificamente politiche a dividere gli stessi.

Accade così che i sovranisti a Strasburgo, contrariamente a quanto avevano fatto credere, saranno distinti e distanti, incapaci di formare una “falange” in grado di ribaltare gli equilibri più o meno tradizionali.

Praticamente alla Lega di Salvini, al Rassemblement National di Marine Le Pen, all’Alternative für Deutschland di Jörge Meuthen e Alexander Gauland si aggregherà poco altro, dai deputati austriaci del Fpö ai belgi del Vlaams Belang e forse lo spagnolo di Vox. Degli altri sparsi e minori rappresentanti si sa poco o nulla: alcuni finiranno nel gruppo dei “non iscritti”, altri non si sa bene dove, di altri ancora non si conoscono le linee di tendenza reali al di là di una generica ostilità all’Unione europea e all’immigrazione.

Salvini e con lui l’occulto regista americano ( anche in senso cinematografico) Steve Bannon, nutrivano un’ambizione più alta che portasse il movimento sovranista ad essere il gruppo più consistente del Parlamento europeo, o almeno il secondo, tale da recitare una parte di primo piano nel conflitto con l’establishment europeo. Ma hanno dovuto incassare i rifiuti decisi di alcune rilevantissime componenti. Il Pis polacco di Jaroslav Kaczynski, aderente al gruppo dei conservatori e riformisti, perché ostile all’appeasement dei sovranisti salvinian- lepenisti con la Russia di Putin; Fidesz dell’uomo forte ungherese Victor Orbàn che, per quanto sospeso, valuta di contare molto di più restando nel Ppe piuttosto che abbandonarlo mettendosi insieme con i suoi omologhi Italo- francesi; i bavaresi Cristiano- sociali di Horst Seehofer ( che da poco ha dovuto cedere la leadership a Markus Söder proprio per la conflittualità accesasi nel partito sulle alleanze europee); Nigel Farage, capo indiscusso del Brexit Party che avrebbe portato in dote un consistente numero di parlamentari: al momento non si sa dove e con chi si collocherà; certo è che non farà parte del gruppo sovranista.

Numeri alla mano, quella che doveva essere la componente che avrebbe rovesciato gli equilibri di Strasburgo, al massimo sarà la quarta o la quinta, staccata da Ppe, Pse, ALDE e forse Verdi. Un po’ poco per accedere alla cosiddetta “stanza dei bottoni” dove si assumono decisioni concernenti la governance del Parlamento, delle commissioni, si attribuiscono incarichi individuali ed alle delegazioni ( un ginepraio nel quale molto spesso, mancando di esperienza, ci si perde facilmente o si è vittime di equivoci e fraintendimenti politici). Quanto poi alla pretesa di riformare l’Unione - proclamata da Salvini - dagli scranni dell’Europarlamento, è una vera e propria fake news. La faccenda, ipoteticamente, potrebbe risolversi altrove. Essendo l’organizzazione comunitaria europea regolata da Trattati a cui sono vincolati gli Stati aderenti, l’eventuale progetto di riforma passa attraverso la revisione degli stessi Trattati e, dunque, dai governi e dai parlamenti nazionali a testimonianza, tra l’altro, che le specifiche sovranità, sia pure affievolite riguardo a talune materie, devolute agli, organismi europei per libera scelta sia ben chiaro, restano integre nel determinare i loro destini e quelli dell’Unione. Da questo punto di vista il Parlamento non ha nessuna competenza. Esso stesso trae legittimità da quei Trattati che denunciati unilateralmente da singoli Stati non producono effetti positivi, come la vicenda Brexit dimostra.

Dunque, il velleitarismo di alcuni sovranisti si scontra con il realismo di altri sovranisti che cercano di rappresentarsi costruttivamente tanto nell’ambito conservatore quanto in quello popolare- cattolico e liberale. Resta aperta la questione della collocazione dei populisti più intransigenti ed identificabili. Tra questi il Movimento Cinque Stelle che gioca ancora un’altra partita alla ricerca di una “casa” che non trova e difficilmente troverá, a meno di non stringere un patto con il Gue, gruppo di raccolta delle sinistre estreme e radicali. L’ipotesi più probabile è quella della costituzione di un piccolo gruppo - del tutto irrilevante giuridicamente e per l’attribuzione degli incarichi - all’interno dei “non iscritti”. Un modo per far capire come i grillini in Europa contano molto poco ed il gruppo “naturale” nel quale dovrebbero riconoscersi, l’Efdd sembra che non avrà i numeri necessari per costituirsi. Dovranno probabilmente accontentarsi di una sorta di “diritto di tribuna”, insieme con qualche altro sfrattato dalle magioni politiche più rilevanti. L’internazionale sovranista che definimmo un ossimoro politico - immaginata da Bannon ( al quale è stata revocata la concessione del monastero cistercense di Trisulti nel Frusinate, dove doveva sorgere l’accademia sovranista europea), non è alle viste. Anche perché comincia a prendere piede il sospetto che The Movement sia una creatura, partorita dalla fertile mente dell’ex- guru di Trump, per dividere l’Europa in piccoli Stati, non per rafforzarla riformandola. Dimenticando che la sovranità nazionale è il presupposto della sovranità europea, se correttamente intesa. Un grande giurista e politologo italiano, Carlo Curcio, nel suo splendido saggio “Europa. Storia di un’idea”, una cinquantina d’anni fa definiva l’Europa “terra di nazioni”. Chi tiene seriamente alla sovranità dovrebbe comprenderne il senso e comportarsi di conseguenza.