Andrea Romizi (coalizione di centrodestra) ha vinto per la seconda volta le comunali di Perugia. Era diventato sindaco cinque anni fa, battendo anche allora la sinistra. Stavolta però non ha solo vinto: ha trionfato al primo turno, con oltre il 60% dei voti. La Lega invece con il risultato delle europee è diventato il primo partito della regione con il 38,18%, un dato superiore anche al 34,3% nazionale, mentre il Pd crolla dal 49,15% delle Europee 2014 al 23,98%. Dati clamorosi che hanno a che fare con il “ciclone Katiuscia” come chiamano nel capoluogo umbro l’affaire Marini. L’ex governatrice umbra, proprio alla vigilia delle comunali di Perugia, chiudeva con le sue dimissioni il braccio di ferro ingaggiato da settimane con il segretario del suo partito Zingaretti. Dimissioni che porteranno gli umbri al voto il prossimo ottobre per rinnovare la giunta regionale ma che intanto chiudono un’epoca: la lunga fase storica di assoluta egemonia che la sinistra ha esercitato in questa regione per oltre settant’anni. Ad essersi infranto è il mito dell’Umbria felix del buon governo. Era stato il politologo americano Robert Putnam, all’inizio degli anni novanta, nel suo Making democracy work, Civic tradition in Modern Italy – un’indagine che ha fatto storia – a definire l’Umbria, assieme all’Emilia Romagna, il modello più virtuoso di governo regionale italiano. Una ricerca monumentale quella di Putnam, condotta sul campo per oltre vent’anni con interviste, sondaggi, inchieste. Cominciata nel 1970, anno di nascita delle regioni, e proseguita fino alla fine degli Ottanta, l’inchiesta del sociologo di Harvard, è diventata un caso di scuola. Esibito dalla politica umbra come certificazione di qualità della propria capacità governance.
Una ricerca che oggi appare tuttavia datata. Il mito del buon governo celebrato da Putnam, era ormai appannato da tempo, resisteva solo per inerzia. Meno di due anni fa, per dire, era stata la ex presidente della Regione, Maria Rita Lorenzetti, ad essere condannata dalla Cassazione con l’accusa di falso ideologico, in relazione a una delibera di Giunta del 2009 che autorizzava alcune Asl ad assumere personale. Nell’indagine erano stati coinvolti anche l’ex assessore alla Sanità e l’ex direttore generale del settore. E una serie di altri scandali negli anni precedenti avevano lambito mondo delle cooperative e politica.
Ma non è questione di atti giudiziari evidentemente si tratta piuttosto dell’usura di un sistema di potere ultradecennale che è progressivamente degenerato parallelamente al suo arroccamento. L’Umbria ha costituito per molto tempo un modello sociale peculiare fondato su un welfare che si sostanziava in un mutuo scambio tra consenso e offerta di servizi di ottimo livello. Tuttavia in Umbria il dirigismo economico guidato dalle politiche di programmazione regionale è stato sempre più accentuato rispetto ad altre realtà come l’Emilia Romagna. Il ruolo pubblico nello sviluppo è stato soverchiante e pletorico anche se per anni questo sistema aveva trovato un modus vivendi con il capitalismo famigliare caratteristico della regione.
La crisi comincia con la pressione esercitata dalla nuova economia di liberalizzazioni e internazionalizzazioni degli anni ottanta e novanta per esplodere definitivamente con la globalizzazione. Claudio Lattanzi, giornalista de La Nazione, autore di un saggio, I padrini dell’umbria, spiega bene, in estrema sintesi, cosa è avvenuto in Umbria: “A partire dagli anni Ottanta, la spesa pubblica non è stata più finalizza ad indirizzare l’Umbria verso lo sviluppo e la sua gestione discrezionale è diventata la ragion d’essere dell’èlite politica”.
Insomma invece di adeguare visione e strategia al nuovo corso la classe politica umbra, abituata all’assenza di un’alternativa, ha cercato la sua perpetuazione saldando sempre di più amministrazione pubblica e struttura di partito e operando un controllo sempre più stretto su risorse sempre più esigue. Fino all’esplosione degli ultimi scandali.
“Cercheremo di recuperare credibilità” ha detto Walter Verini che in Umbria svolge l’ingrata mansione di commissario regionale del Pd. Ma il partito umbro è smarrito, impegnato come un rabdomante nella ricerca di un candidato che segni una soluzione di continuità con l’ancien regime. Tra le opzioni c’è quella di Camilla Laureti – 40mila preferenze alle europee – ma si fanno anche i nomi di Giacomo Leonelli – già critico in consiglio regionale della gestione Marini, del sindaco di Corciano Cristian Betti e di quello di Narni Francesco De Rebotti. Ma non si escludono le primarie, che potrebbero costituire un lavacro purificatore e un battesimo di rilegittimazione del Pd agli occhi del suo storico elettorato. Certo la strada per il Pd di Zingaretti in Umbria è in salita: si vota tra una manciata di mesi, un tempo corto per inventarsi un altro mondo.
Umbria, la parabola di un’ex regione rossa dove oggi trionfa la Lega di Salvini
Andrea Romizi (coalizione di centrodestra) ha vinto per la seconda volta le comunali di Perugia. Era diventato sindaco cinque anni fa, battendo anche allora la sinistra. Stavolta però non ha solo vinto: ha trionfato al primo turno, con oltre il 60% dei voti. La Lega invece con il risultato delle europee è diventato il primo partito della regione con il 38,18%, un dato superiore anche al 34,3% nazionale, mentre il Pd crolla dal 49,15% delle Europee 2014 al 23,98%. Dati clamorosi che hanno a che fare con il “ciclone Katiuscia” come chiamano nel capoluogo umbro l’affaire Marini. L’ex governatrice umbra, proprio alla vigilia delle comunali di Perugia, chiudeva con le sue dimissioni il braccio di ferro ingaggiato da settimane con il segretario del suo partito Zingaretti. Dimissioni che porteranno gli umbri al voto il prossimo ottobre per rinnovare la giunta regionale ma che intanto chiudono un’epoca: la lunga fase storica di assoluta egemonia che la sinistra ha esercitato in questa regione per oltre settant’anni. Ad essersi infranto è il mito dell’Umbria felix del buon governo. Era stato il politologo americano Robert Putnam, all’inizio degli anni novanta, nel suo Making democracy work, Civic tradition in Modern Italy – un’indagine che ha fatto storia – a definire l’Umbria, assieme all’Emilia Romagna, il modello più virtuoso di governo regionale italiano. Una ricerca monumentale quella di Putnam, condotta sul campo per oltre vent’anni con interviste, sondaggi, inchieste. Cominciata nel 1970, anno di nascita delle regioni, e proseguita fino alla fine degli Ottanta, l’inchiesta del sociologo di Harvard, è diventata un caso di scuola. Esibito dalla politica umbra come certificazione di qualità della propria capacità governance.
Una ricerca che oggi appare tuttavia datata. Il mito del buon governo celebrato da Putnam, era ormai appannato da tempo, resisteva solo per inerzia. Meno di due anni fa, per dire, era stata la ex presidente della Regione, Maria Rita Lorenzetti, ad essere condannata dalla Cassazione con l’accusa di falso ideologico, in relazione a una delibera di Giunta del 2009 che autorizzava alcune Asl ad assumere personale. Nell’indagine erano stati coinvolti anche l’ex assessore alla Sanità e l’ex direttore generale del settore. E una serie di altri scandali negli anni precedenti avevano lambito mondo delle cooperative e politica.
Ma non è questione di atti giudiziari evidentemente si tratta piuttosto dell’usura di un sistema di potere ultradecennale che è progressivamente degenerato parallelamente al suo arroccamento. L’Umbria ha costituito per molto tempo un modello sociale peculiare fondato su un welfare che si sostanziava in un mutuo scambio tra consenso e offerta di servizi di ottimo livello. Tuttavia in Umbria il dirigismo economico guidato dalle politiche di programmazione regionale è stato sempre più accentuato rispetto ad altre realtà come l’Emilia Romagna. Il ruolo pubblico nello sviluppo è stato soverchiante e pletorico anche se per anni questo sistema aveva trovato un modus vivendi con il capitalismo famigliare caratteristico della regione.
La crisi comincia con la pressione esercitata dalla nuova economia di liberalizzazioni e internazionalizzazioni degli anni ottanta e novanta per esplodere definitivamente con la globalizzazione. Claudio Lattanzi, giornalista de La Nazione, autore di un saggio, I padrini dell’umbria, spiega bene, in estrema sintesi, cosa è avvenuto in Umbria: “A partire dagli anni Ottanta, la spesa pubblica non è stata più finalizza ad indirizzare l’Umbria verso lo sviluppo e la sua gestione discrezionale è diventata la ragion d’essere dell’èlite politica”.
Insomma invece di adeguare visione e strategia al nuovo corso la classe politica umbra, abituata all’assenza di un’alternativa, ha cercato la sua perpetuazione saldando sempre di più amministrazione pubblica e struttura di partito e operando un controllo sempre più stretto su risorse sempre più esigue. Fino all’esplosione degli ultimi scandali.
“Cercheremo di recuperare credibilità” ha detto Walter Verini che in Umbria svolge l’ingrata mansione di commissario regionale del Pd. Ma il partito umbro è smarrito, impegnato come un rabdomante nella ricerca di un candidato che segni una soluzione di continuità con l’ancien regime. Tra le opzioni c’è quella di Camilla Laureti – 40mila preferenze alle europee – ma si fanno anche i nomi di Giacomo Leonelli – già critico in consiglio regionale della gestione Marini, del sindaco di Corciano Cristian Betti e di quello di Narni Francesco De Rebotti. Ma non si escludono le primarie, che potrebbero costituire un lavacro purificatore e un battesimo di rilegittimazione del Pd agli occhi del suo storico elettorato. Certo la strada per il Pd di Zingaretti in Umbria è in salita: si vota tra una manciata di mesi, un tempo corto per inventarsi un altro mondo.
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