C’è un solo voto in ballo, una scheda contestata, tre puntini sospensivi che l’hanno fatta finire nell’urna con l’etichetta “nulle”. E forse, anzi quasi sicuramente, in quella piccola sala in cui si celebra il Consiglio comunale, d’ora in poi, Domenico Lucano non avrà più una sedia tutta sua. Ma non importa, perché in fondo non è quello che cambia la storia. La storia è già cambiata, con un punto solo e deciso, senza sbavature, messo lì dopo 15 anni. Ed è la democrazia, bellezza. Ma Lucano, ormai ex sindaco ma ancora, ironicamente, sospeso da Riace, lo sa bene. «Sono triste, ma la vita è così», commenta poco dopo la conferma, bruciante, che il suo modello è stato bocciato. I motivi potrebbero essere tanti: un sentimento, nazionale, che ha invertito il soffio del vento, quello che aveva portato sulla spiaggia di Riace, 20 anni fa, una barca piena di profughi, che lo avevano illuminato e trascinato dentro al suo sogno, alla sua utopia reale. Ma anche l’inchiesta con la quale è finito a giudizio davanti al Tribunale di Locri, «che ha creato sfiducia». E quell'essere costretto a rimanere per tutta la campagna elettorale al di là del confine, 8 chilometri lontano dal Comune che ha amministrato per 15 anni. Ma non è tempo di autocommiserazione, spiega al Dubbio. «Devo ricordarmi di quanto queste occasioni siano state straordinarie, condivise, con tutta la comunità globale di Riace. È stato bellissimo, sempre. E oggi devo prendere atto che è così. Dobbiamo sempre trovare la voglia di ripartire, e aspettare un momento migliore». L’isolamento, spiega, è stata la ferita più grande. La sua voce, amplificata con un megafono mediatico impressionante, non è arrivata dove doveva arrivare, dove doveva già essere. «Ho affrontato questa campagna elettorale in esilio, senza un contatto vero con le persone. Questo mi ha penalizzato». Era importante continuare, dice. Ma a coloro che adesso si accingono a governare Riace chiede una sola cosa: «Di avere rispetto del nostro territorio e della comunità come ne ho avuto io. Quello che ho fatto - racconta - alla fine non è stato altro che un gesto di rispetto, un tentativo di riscatto per la nostra terra, una straordinaria esperienza per me anche da un punto di vista umano, vissuta costruendo dei ponti. Sono stato ovunque per narrare la storia di una terra che è ultima in tante graduatorie, ma prima in umanità». Nell’unico comizio a lui concesso - i giudici gli hanno imposto il divieto di mettere piede a Riace, perché troppo influente, dicono, e capace di influenzare la politica locale, col rischio di reiterare i reati dei quali è accusato e per i quali è a processo - ha guardato i suoi concittadini presentando i risultati di anni e anni da sindaco. E la sua opera pubblica più straordinaria e che non conosce rovine, ha detto, è stata l’accoglienza. «È il racconto di una fiaba, di un paese che non ha alzato barriere, non è stato insensibile, indifferente ai drammi del mondo. Riace rimane un’icona del mondo. Inutile parlare di dissesto e cifre quando il patrimonio che abbiamo lasciato in eredità non ha valore». Riace, ripopolata, riempita di colori, con le vecchie botteghe riaperte, dove ci lavorava la gente del posto, non solo i migranti, non ha sostenuto Lucano. Il nuovo sindaco, Antonio Trifoli, che l’accoglienza l’ha praticata proprio con Lucano, 20 anni fa, dando vita all'associazione “Città Futura”, dice ora di non voler spazzare via il passato. L’accoglienza, nel borgo, si farà. Legalmente, afferma, e se ci sono le condizioni. Col tempo il suo percorso si è allontanato da quello dell’ex sindaco, finendo per diventare il suo interlocutore principale tra i banchi dell’opposizione. E spesso e volentieri i motivi di dissenso stavano tutti lì: l’accoglienza. A lui, e non più a Lucano, è andata la fiducia dei cittadini di Riace. Perché? «La mia vicenda giudiziaria ha inciso, ma anche la chiusura dello Sprar ha generato una perdita fiducia nei confronti del modello. Il dissesto economico, da un punto di visto tecnico, ma anche la voglia di dare una svolta, dopo 15 anni, la mia lontananza… - spiega - Tutto questo ci ha disuniti. Anche il fatto che per sette mesi, di fatto, io non sia stato sindaco e ci sia stato un sindaco facente funzioni ha aumentato la frattura». Ma i motivi sono anche ideologici, figli del tempo. E il fatto che a Riace la Lega sia diventata il primo partito è un chiaro segnale, impossibile da ignorare. «C’è un’onda nera sull’Italia e che anche su Riace ha portato le sue ombre», sottolinea. Non sa se entrerà in Consiglio, forse no, anzi, quasi sicuramente no. Ma in quel caso, «credo che mi dimetterò e lascerò a qualcuno più giovane questa esperienza. Io, così, sarò libero». La prima cosa, infatti, è presentare una nuova richiesta, l’ennesima, per poter tornare finalmente a casa, dopo sette mesi. Perché di influenza, a quanto pare, non ne aveva poi così tanta o, in ogni caso, non ne avrà più. E il futuro? «Ricominciare dalla base. Mi concentrerò di più sul villaggio globale, Wim Wenders vuole tornare a Riace e finire il progetto che aveva iniziato qui con “Il Volo”. Abbiamo costruito una piccola utopia. Non devono pensare che mi tirerò indietro: per me l’accoglienza è iniziata prima di diventare sindaco e continuerò a fare cittadinanza attiva. Siamo e rimaniamo in prima linea, al di là dei ruoli, istituzionali o meno. Non è un problema. non è il ruolo che fa la differenza - conclude - Puoi fare il sindaco per 20 anni e riscaldare solo la sedia. Ma è avere delle idee che è importante».