Chi era Miriam Mafai e chi l’ha conosciuta così ricorda più di lei: la cronista intransigente? la militante politica? la compagna di Giancarlo Pajetta? Forse la cosa migliore è rifarsi alle sue stesse parole. «Il bello del nostro mestiere - scriveva Mafai nel suo intervento al congresso della Federazione della Stampa del maggio 1984 - è nello stare giorno per giorno dentro le cose, cercare di capire tutto ciò che di nuovo si manifesta nelle pieghe della società; essere i testimoni e i garanti del possibile che emerge. Ma per cercare di capire bisogna avere occhi sgombri da prevenzioni e ideologie; si può essere curiosi soltanto se si è liberi».

Il ricordo della Mafai è stata la ragione del seminario di aggiornamento promosso dalla sezione campana della Federazione nazionale della stampa. «Parlare della Mafai significa parlare di un pezzo della nostra storia», ha sottolineato Raffaele Lorusso, segretario generale del sindacato dei giornalisti. Un’occasione anche per presentare il delizioso volumetto scritto da Lidia Luberto Miriam Mafai per la collana “Italiane”, curata da Nadia Verdile per Maria Pacini Fazzi Editore.

Mafai è una figura che ha tenuto alta la bandiera della libertà e dei diritti. E’ stata la prima donna eletta presidente della Fnsi, ma fu prima in tante cose. Al centro delle sue battaglie c’è sempre il tema della libertà. Lei che la privazione della libertà l’ha vissuta sulla sua pelle, costretta come fu a lasciare il ginnasio perché di origine ebraica. Nata nel 1926, vissuta nel periodo fascista, la mamma e il padre artisti, si è formata in un contesto sociale soffocato dalle leggi razziali.

Lidia Luberto, docente di lettere, giornalista, scrittrice, co- fondatrice del Premio giornalistico “Matilde Serao”, ha tracciato un ritratto di donna a tutto campo, incrociando vita vissuta e percorso professionale in un racconto coinvolgente ricco di episodi e di insegnamenti utili per chi intraprende il mestiere di giornalista. «La Mafai è una donna moderna, contemporanea, piena di fascino e di autorevolezza per ciò che ha rappresentato nella storia delle Italiane», ha specificato Luberto. «La Mafai non si stancava di ripetere che il mestiere del cronista è dare fastidio, chi non dà un dispiacere al giorno non è un giornalista». Ma attenzione: «Senza l’esercizio della libertà non c’è democrazia».

Il tema sul controllo dei media allora come oggi appare importante. Per le battaglie sindacali la risposta di Miriam Mafai era questa: «L’unità è qualcosa che si raggiunge una volta specificate quali siano le differenze. Tema storicamente presente - ha ricondato Lorusso - nel nostro sindacato».

«Mi sono concentrata sulle caratteristiche di Mafai – ha raccontato Luberto - prendendo spunto dal suo modo di porsi nei confronti delle battaglie per la libertà e i diritti civili. Ha sposato la causa dei diritti usando il grimaldello della parola, parlata e scritta. La parola è stata l’arma della sua rivoluzione morbida ma efficace - scrive l’autrice - proposta e mai imposta. La parola che scuote, educa, che provoca, che ha in sé la forza di scardinare vecchie e radicate abitudini». Attivista politica, dopo un’esperienza da assessora a Pescara, sposa Umberto Scalia e poi si trasferisce a Parigi dove incontra Maria Antonietta Macciocchi che le assegna il ruolo di corrispondente di Vie nuove. Passa poi all’Unità, prima donna a ricoprire il ruolo di cronista parlamentare. Successivamente dirigerà Noi Donne, il settimanale del Pci, per approdare infine a Paese Sera.

Successivamente condividerà la fondazione di Repubblica con Eugenio Scalfari. Racconta in modo coinvolgente l’autrice: «Ha avuto uno sguardo limpido sui fatti, non condizionato da pregiudizi». Anche se proveniva da una scuola di partito, era refrattaria alle regole. Due figli, si autoassolve rispetto al senso di colpa. Cerca di conciliare il ruolo di mamma e il lavoro ma non sempre le due cose sono compatibili. Convinta che “la donna, esattamente come ha fatto l’uomo per secoli, non debba rinunciare al lavoro neppure per i propri figli”. Nel corso della sua attività professionale, «Mafai si è spesa per il divorzio e l’aborto. Battaglie fondamentali e diritti acquisiti dalle donne senza mai abbassare la guardia». Luberto racconta di quando faceva i comizi in piazze semideserte in cui erano presenti solo uomini. Ciò nonostante non perdeva l’entusiasmo, convinta che dietro le finestre ci fossero le donne ad ascoltare.

Nelle battaglie laiche per l’aborto, schierandosi contro le ingerenze della Chiesa in materia di aborto, coppie di fatto, biotecnologie, manipolazione genetica, eutanasia. Senza contestare la posizione della Chiesa e tuttavia precisando: «Che voglia impedire allo Stato italiano di legiferare è inconcepibile». La Luberto evidenzia un punto di grande attualità su cui la Mafai mette l’accento: «Il giornalista deve essere il cane da guardia delle libertà, non può essere imbavagliato e condizionato, la parola ha il potere di cambiare le cose». Non solo. «La vita della Mafai è stata una testimonianza della storia italiana, non ci sono solo i padri costituenti ma anche le madri costituenti». La sua storia d’amore con Giancarlo Pajetta, il partigiano Nullo, fu contrastata dal partito.

«Anche nel suo rapporto d’amore mantenne indipendenza e libertà. Diceva: tra le inchieste giornalistiche e Giancarlo scelgo l’inchiesta. Viveva in modo complicato l’evoluzione dei nuovi mezzi di informazione: il giornalista non si deve far condizionare - riporta la Luberto - rischia di essere confinato dietro ad una scrivania invece deve essere osservare in diretta la realtà». Dal libro traspare la passione per la donna Mafai, per quel suo modo di essere diretta, ironica, coerente e fedele con se stessa. Soprattutto emerge la curiosità di andare oltre, per cercare di capire. «Qual è il compito del giornalista? Fare tutto, tranne accorciare il suo sguardo sul mondo».