Il fenomeno della radicalizzazione in carcere c’è, ma non allarmante tanto da giustificare l’erosione dei diritti. Questo si evince da un capitolo dell’ultimo rapporto di Antigone sulle condizioni del carcere. I numeri di cui dispone Antigone rendono conto di un fenomeno in lieve diminuzione rispetto all’anno scorso e con valori assoluti contenuti.

Al 31 ottobre 2018 erano 233 i detenuti monitorati con il più alto livello di attenzione. Di questi, 171 erano detenuti comuni e 62 i ristretti in AS2. Sono circa il 4% in meno rispetto all’anno precedente. Erano poi 103 i monitorati con un livello intermedio di attenzione e 142 i cosiddetti “followers”, detenuti considerati fragili e di conseguenza più facilmente avvicinabili a ideologie violente, nella situazione di sofferenza causata dal contesto detentivo.

I monitorati erano in tutto 478, circa il 5,5% in meno rispetto al 2017. Di questi, il 27,7% provenivano dalla Tunisia, il 26, 07 dal Marocco, il 6% dall’Egitto e il 4,5% dall’Algeria. Antigone sottolinea l’importanza di tenere alta la soglia dell’attenzione rispetto al pericolo di una progressiva trasformazione delle dinamiche che reggono la vita penitenziaria alla luce di criteri propri delle attività intelligence ma estranee alle finalità della pena, che deve però «sempre volgere al reinserimento di tutte le persone detenute, indipendentemente dalla natura del reato commesso o di cui si è chiamati a rispondere».

Sempre nel rapporto di Antigone viene evidenziato che è importante tenere conto della contenuta presenza numerica di persone detenute coinvolte in un processo di radicalizzazione avanzato, evitando dunque una mobilitazione di mezzi e risorse sproporzionata. «Infine, è necessario prendere in conto il rischio di stigmatizzazione di una parte della popolazione detenuta – spiega Antigone - che sulla base della sua provenienza geografica o della religione di appartenenza può venire ingiustificatamente identificata come bacino di potenziali radicalizzati e di conseguenza monitorata con sospetto».

Aggiunge che a ciò «possono contribuire l’ignoranza dei precetti e delle condotte proprie all’islam, rispetto alle quali sono diffuse visioni stereotipate». L’Osservatorio di Antigone ha infine rilevato, nel corso delle sue visite, una mancanza di formazione diffusa, sia sul versante linguistico che su quello culturale. «Ciò non può che limitare o impedire – conclude la comprensione delle soggettività recluse e dei loro comportamenti, aumentando il rischio di adozione di criteri stereotipati e una gestione detentiva basata su mere esigenze di sicurezza».