Facebook ha deciso domenica di cancellarne ben ventitré. Ma le pagine che propagandavano odio e fake news saldamente schierate a fianco di Lega e 5 Stelle potrebbero essere soltanto la punta dell’iceberg. Nel rapporto che l’ong Avaaz ha consegnato ai vertici di Menlo Park, il business dell’intolleranza sembra contare infatti su numeri ben più ampi. Ad aver violato le regole del social di Zuckerberg, ci sarebbero infatti altre 14 sottoreti coordinate che vedrebbero coinvolte ben 104 pagine divise in sei gruppi che contano su 18,26 milioni di follower e 23 milioni di interazioni negli ultimi tre mesi.

Un vero oceano di menzogne e provocazioni quotidiane, che la Commissione europea ha tentato di arginare già a partire dall’anno scorso, quando ha affidato a un task force di 39 esperti il compito di elaborare una strategia contro l’odiosa tirannide della disinformazione. Della squadra anti- fake news, fa parte in rappresentanza dell’Italia anche Oreste Pollicino, giurista e docente di diritto costituzionale all’Università Bocconi di Milano.

Professore, sono state appena chiuse 23 pagine di fake news. Ed altre ancora sono già nel mirino. I social hanno cominciato a reagire contro le bufale dopo anni di inerzia?

Difficile desumere da un singolo evento un quadro d’insieme più articolato. Ma certamente siamo in presenza di un importante indizio. Anche se i social non sono mai stati del tutto inerti neppure in passato, da qualche tempo hanno cominciato ad assolvere alle richieste formulate dal comitato dei saggi di cui faccio parte, che sono poi confluite nel codice di autoregolamentazione contro le fake news di cui le piattaforme si sono dotate per affrontare il fenomeno. Hanno cominciato a cooperare maggiormente con l’autorità pubblica, ma sono diventate più sensibili anche alle segnalazioni di società competenti e di privati.

Però è come provare a svuotare il mare con un cucchiaino. Le pagine dell’odio sono a migliaia. Come riconoscerle?

Dei passi in avanti ci sono stati. Proprio come accaduto nel caso delle pagine social chiuse di recente, spesso all’origine degli spazi dei disinformatori professionali ci sono pagine di intrattenimento o di marketing che nel tempo hanno variato la loro denominazione, ma hanno traghettato nella nuova “destinazione d’uso” della pagina anche gli utenti e i vecchi followers. Parliamo di persone che si sono spesso ritrovate ad essere sostenitori di un partito o di un altro, a loro insaputa. Una circostanza che può certamente profilare un danno a quella consapevolezza critica che è alla base del diritto di voto.

Dalle elezioni americane alla Brexit, le fake news hanno giocato un ruolo non indifferente. Eppure né le leggi né i social sono ancora riusciti a fornire una risposta concreta a quello che è un vero pericolo per la democrazia. Come mai?

Ai sensi delle direttive europee i social non sono obbligati a effettuare un monitoraggio preventivo dei contenuti. Tra l’obbligo e l’inerzia, esistono tuttavia decine di sfumature. La strada migliore per contrastare le fake news è al momento quella della cooperazione tra piattaforme e istituzioni. L’obiettivo da centrare è quello di creare man mano una best practice che possa essere d’esempio per tutte le altre realtà social che si fondano sulla condivisione.

A gennaio dell’anno scorso la Commissione europea ha accettato il codice di condotta di cui hanno deciso di dotarsi i social contro le fake news. Ma è stato stabilito anche che se lo stesso non dovesse rivelarsi efficace, Bruxelles provvederà a varare una normativa europea più vincolante. La legge arriverà oppure no?

In questo momento siamo in una fase di monitoraggio del codice di autoregolamentazione che si sono dati i social. Ci troviamo insomma in una fase transitoria che dovrà descrivere un quadro di insieme più ampio. Difficile dire tuttavia che cosa accadrà al termine della fase di sperimentazione. Le prossime europee rendono impredicibile il futuro.

La task force europea di cui fa parte ha avuto un ruolo importante nel disegnare la strategia di contrasto alla disinformazione. Quali sono le linee guida che avete individuato voi esperti?

Alla base di tutto ci sono due pilastri. In primo luogo abbiamo segnalato la necessità di una sinergia tra social e istituzioni, da mettere a punto attraverso un tavolo tecnico, un codice di condotta o un gruppo di esperti. In secondo luogo è assolutamente necessario puntare all’educazione digitale degli utenti. Comuni e regioni devono investire con maggiore decisione sull’educazione di dei giovani ai nuovi media.

In tanti sono però scettici sulla guerra alle fake news. Dicono che è impossibile abolire le bufale per decreto. È così?

Anche le false notizie rientrano nel campo della libertà d’espressione. Il diritto a mentire certamente esiste, ma può essere contrastato nella misura in cui esso va oltre il diritto individuale e pregiudica l’interesse collettivo al diritto costituzionalmente tutelato di essere informati.