Ogni tanto sento e leggo di assonanze, o qualcosa del genere, fra Matteo Salvini e il compianto Bettino Craxi, complici anche le simpatie leghiste vigorosamente espresse, nella franchezza del suo stile, da Maria Giovanna Maglie. Cui le simpatie allora per Craxi costarono il posto all'Unità, lo storico quotidiano comunista fondato da Antonio Gramsci nel 1924. E purtroppo scomparso dalle edicole, nonostante tutti i tentativi compiuti di salvarlo, insieme, dalla caduta del comunismo e dalla crisi crescente della carta stampata.

Anche a Craxi, bisogna riconoscerlo, furono applicati in vignette e articoli di invettiva politica e culturale, panni, immagini e categorie del fascismo per il suo piglio decisionista. Che mai si avventurò tuttavia sul terreno dove si è spinto Salvini soprattutto per un'emergenza del fenomeno migratorio solo sfiorata con gli sbarchi degli albanesi in terra pugliese negli anni in cui Bettino era ancora sul campo come componente decisivo di una maggioranza di governo. Ma già avvertiva, il leader socialista come delegato dell'Onu per la soluzione dei debiti dei Paesi africani, la polveriera che avrebbe potuto diventare quel continente per l'Europa e la sua capacità, oltre che volontà, di raccoglierne i fuggitivi dalle guerre e dalla povertà.

L'ultima occasione che ho colto per paragoni fra Salvini e Craxi è l'offensiva aperta dal ' capitano' leghista contro i compensi della Rai a Fabio Fazio, al cui salotto televisivo Salvini ha ordinato ai colleghi di partito di non affacciarsi neppure sino a quando il conduttore non si sarà rassegnato alla riduzione dei suoi emolumenti in corso di tentativo da parte degli amministratori dell'azienda pubblica. Che non sono rimasti insensibili, diciamo così, alle proteste di Salvini per un costo del contratto considerato eccessivo, in questi tempi peraltro di magra, per un ente di Stato: 2 milioni e 240 milioni di euro per la sola conduzione della trasmissione Che tempo che fa per ciascuno dei quattro anni della durata, più una decina di milioni per la società di produzione del programma co- posseduta dallo stesso Fazio.

Il precedente attribuito a Craxi è quello del 1984, quando l'allora presidente del Consiglio - peraltro alle prese con un intervento, contestatissimo dall'opposizione comunista, per tagliare di qualche punto la scala mobile dei salari anche modesti in funzione antinflazionistica - prese posizione contro un contratto triennale che la Rai presieduta dal socialista Sergio Zavoli stava negoziando con Raffaella Carrà.

Zavoli fu persino convocato a Palazzo Chigi dall'allora sottosegretario Giuliano Amato per parlarne. E si presentò, sostenuto dal direttore generale Biagio Agnes, demitiano di ferro, per difendere il contratto, non per rinunciarvi.

Fu decisivo contro l'intervento di Craxi l'invito formulato anche da Silvio Berlusconi alla Rai a ridurre i costi delle produzioni televisive calmierando in qualche modo i compensi. Il solo sospetto che il Cavaliere di Arcore, già sostenuto dai socialisti nella sua avventura televisiva, e relativa concorrenza all'azienda pubblica di viale Mazzini, potesse ricavarne un vantaggio bastò e avanzò per vanificare il tentativo craxiano di bloccare o ridurre la portata del contratto alla Carrà. L'affare Fazio, chiamiamolo così, è ben diverso da quello dell'allora già lady dello spettacolo televisivo: ben diverso per gli importi in gioco e per l'incidenza dell'informazione del programma passato dalla terza alla prima rete televisiva della Rai e caduto sotto l'attenzione del leader leghista. Che, secondo me, sottovaluta il rischio di faziosità, intesa sotto tutti i sensi, cui si espone la sua ostinata azione di contrasto.

Un politico dovrebbe tenersi lontano da ogni polemica, non dico poi dal sostanziale boicottaggio che è un ordine o semplice consiglio di desistenza dalla partecipazione, quando si affaccia a una finestra informativa. Il confine tra la critica e la censura si fa allora troppo labile perché il politico, di qualsiasi livello egli sia, non ne esca danneggiato. Anzi, più lui è leader, tanto più ci rimette. Mi stupisco, francamente, che il vice presidente del Consiglio e ministro dell'Interno non se ne sia reso ancora conto.

Dirò di più. Oltre a impedire a Fazio di rispettare la cosiddetta par condicio in campagna elettorale, rifiutando i suoi inviti, Salvini si perde l'occasione di trasmettere attraverso di lui messaggi al pubblico sicuramente più utili, ed efficaci, di quelli passati attraverso conduttori televisivi più disponibili o carini. E certamente ve ne sono, senza bisogno di farne i nomi. Sono consigli, naturalmente, non richiesti e molto probabilmente neppure graditi.