«Le acquisizioni probatorie confermano inoppugnabilmente il timore dell'onorevole Calogero Mannino di essere ucciso, così come sostenuto dall'accusa, e le sue azioni per attivare un ' turpe do ut des' per stoppare la strategia stragista avviata da Cosa nostra». Così ha detto ieri il sostituto procuratore generale Sergio Barbiera che, insieme al collega Giuseppe Fici, rappresenta l'accusa nel processo d'appello per la presunta trattativa Stato mafia: la procura generale chiede di ribaltare l'assoluzione del primo grado, in abbreviato, e di condannare Mannino a 9 anni di carcere, per il reato di minaccia a corpo politico dello Stato. Nella requisitoria, l'accusa ribadisce le dichiarazioni del pentito Giovanni Busca, già emerse in primo grado: «Il collaboratore - dice Barbiera ha dichiarato di avere ricevuto l'incarico di predisporre, subito dopo l'attentato di Capaci, l'omicidio dell'odierno imputato, Calogero Mannino. Anche Francesco Onorato ha confermato che Mannino ' si doveva uccidere'. E l'ex capo mandamento Antonino Giuffrè, vicino al boss Provenzano, ha detto che: Falcone, Lima e Mannino erano nella lista delle persone da uccidere - ha proseguito Barbiera - lista deliberata dalla riunione della commissione provinciale di Cosa nostra, riunitasi nel dicembre 1991. Decisione da adottare in caso di esito sfavorevole della sentenza del maxi processo da parte della Cassazione». In sostanza i due PG ripropongono la stessa accusa dei loro colleghi precedenti, coloro che furono smentiti dalla sentenza di assoluzione, in primo grado, nel novembre del 2015. Ricordiamo che si tratta del processo stralcio sulla trattativa, mentre quello ordinario ha visto la condanna a dodici anni di reclusione per Subranni e Mori ( così come per Riina e Cinà, mentre sono stati ventotto per Bagarella e, invece, è stata dichiarata la prescrizione per Brusca, tenendo conto dell’attenuante della dissociazione); otto anni per il comandante De Donno e 12 anni per Marcello Dell’Utri. Mentre con la medesima sentenza è stato, invece, assolto l’allora Ministro Mancino dal delitto contestatogli di falsa testimonianza. È stato condannato per quello di calunnia anche Massimo Ciancimino, prosciolto, invece, dalla più grave accusa per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi, per tutti i condannati, si sta celebrando il processo d’appello. Ma a rappresentare lo Stato che avrebbe trattato è rimasto solo il Ros senza mandanti politici perché, appunto, nel frattempo c’è Calogero Mannino che aveva scelto il rito abbreviato ed è stato assolto in primo grado. Ora il suo processo di secondo grado è in dirittura d’arrivo e la sentenza potrebbe essere emessa prima dell’estate.

Ma qual è l’accusa riproposta nei suoi confronti? Quella di aver cercato nei primi mesi del 1992 contatti con esponenti di apparati investigativi, affinché acquisissero informazioni da uomini collegati a Cosa nostra e si aprisse con i vertici della stessa organizzazione criminale la ' trattativa stato- mafia', finalizzata a sollecitare eventuali richieste da parte di quest'ultima per far cessare la programmata attuazione della strategia omicidiario- stragista, già avviata con l'omicidio dell'onorevole Salvo Lima, e che prevedeva l'eliminazione tra gli altri di vari esponenti politici e del Governo, fra cui lo stesso Mannino. L’accusa prosegue spiegando che Mannino avrebbe poi esercitato, in epoca successiva, in relazione alle richieste frattanto ricevute da Cosa nostra, indebite pressioni, col fine di condizionare a favore dei detenuti mafiosi la concreta attuazione dei decreti applicativi del regime cui all'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario, agevolando così lo sviluppo della trattativa stato mafia e quindi rafforzando il proposito criminoso di cosa nostra di rinnovare la minaccia di prosecuzione della strategia stragista. Tutte accuse respinte, nel primo grado, dalla giudice Marina Petruzzella con tanto di richiamo alla giurisprudenza della Cassazione, spiegando che «ogni episodio va dapprima considerato di per sé come oggetto di prova autonomo, onde potere poi ricostruire organicamente il tessuto della storia racchiuso nell’ imputazione». E ha aggiunto che «il semplice assemblaggio o la mera sommatoria degli elementi indiziari viola le regole della logica e del diritto». Di fronte a «elementi di sospetto, che non abbia no quindi una grave e autonoma natura indiziaria, se invece considerati come se possedessero tali connotati, possono prestarsi a interpretazioni facilmente ribaltabili e tutte analogamente plausibili e in fin dei conti prive dello specifico valore dimostrativo processuale». Nelle motivazioni dell’assoluzione c’è anche un passaggio dedicato proprio alle dichiarazioni del pentito Brusca, ora riproposte dai PG durante il processo di secondo grado, dove la giudice nota che il collaboratore sugli snodi di questa vicenda risulta dunque essere stato dal 1996 in poi «sottoposto a plurimi interrogatori, in diverse sedi d'indagine e dibattimentali ( indirizzati ad accertamenti di vario tipo) e che ad un certo punto egli prese ad arricchire i suoi resoconti di elementi eclatanti, congetture e sintesi, anche confuse e di difficile comprensione, anche per gli stessi inquirenti che lo interrogavano». La giudice ha annotato che «lo stesso Brusca non mancava di fare presente che le sue ricostruzioni gli erano suggerite dalla lettura di notizie di stampa, dall'ascolto di dirette radiofoniche delle deposizioni altrui sulla medesima trattativa Mori- Ciancimino, dalle domande rivoltegli dalle parti processuali che inevitabilmente comportavano interpretazioni dei fatti».

Ora sarà un altro giudice, la dottoressa Adriana Piras, ha emettere la sentenza nei confronti dell’ex democristiano che secondo l’accusa sarebbe stato l’innesco di tutta la vicenda della cosiddetta Trattativa. Se dovesse essere di nuovo assolto, si confermerebbe la singolarità che ad avviare la presunta trattativa sarebbero stati gli ex Ros, in solitudine e senza mandanti politici.