Se c’è una persona a cui dovremmo chiedere scusa, per aver subito un accanimento mediatico, questa è Amanda Knox. La giovane donna americana, accusata e poi assolta per la morte di Meredith Kercher, ha subito non solo cinque gradi di giudizio, ma per anni è stata vittima della condanna a priori da parte dell'opinione pubblica. Insieme all'altro imputato, anche lui assolto, l’allora fidanzato Raffaele Sollecito, ha dovuto sopportare il linciaggio mediatico e la denigrazione, a tal punto che i giornali statunitensi parlarono per il suo caso di una nuova, moderna, caccia alle streghe.

Meredith Kercher venne uccisa il 1 novembre del 2007 a Perugia e per il suo omicidio l'unico colpevole è stato giudicato Rudy Guede, condannato con il rito abbreviato. Diversa è la vicenda processuale di Amanda e Raffaele, fatta di numerosi colpi di scena fino al 2015, quando la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze.

Fino a quel momento la vita di Amanda viene presa di mira, vivisezionata, data in pasto al pubblico televisivo. L’Italia si divide in ( molti) colpevolisti e ( pochi) innocentisti. Passa allora il convincimento nell’opinione pubblica che la colpevolezza si fonda non sulle prove, ma sul “carattere” della persona, sul suo ritratto psicologico, peraltro affidato a improvvisati psicologi ospiti negli studi televisivi.

Rispetto a Raffaele Sollecito, anche lui preso di mira, Amanda ha un’altra “colpa”: è una donna, è carina e appare sicura di sé. I suoi occhi non sono abbastanza contriti, non sono abbastanza umili. Ma questo per i giudici spietati del processo mediatico ha lo stesso effetto di una confessione. Con il contributo dei giornali e in particolare della tv, ogni fattore viene piegato a questa rappresentazione del caso. I giorni subito dopo il ritrovamento del cadavere, Amanda, che viveva con la vittima, si reca insieme al fidanzato in un negozio di biancheria intima. Spiegherà di averlo fatto perché aveva tutti gli indumenti nella casa sequestrata. I media non si fanno sfuggire l’occasione e quel dettaglio diventa lo stimolo per rappresentare i due come una coppia dedita ai giochi erotici, interessata solo al sesso, al tal punto da ignorare la morte dell’amica. Versione che del resto diventa movente secondo la pubblica accusa.

In quegli anni ne sono state dette e scritte di tutti colori, a partire dal Dna che appariva e spariva sulla scena del delitto. L’assoluzione, come avrebbe dovuto, non ha però messo la parola fine e ancora oggi i colpevolisti continuano a farsi sentire, a non demordere. Per questo dobbiamo chiedere scusa ad Amanda Knox. Perché nonostante tutto quello che ha subito, nonostante una sentenza definitiva avrebbe dovuto levare ogni ombra, c’è chi continua a giudicarla, chi non si arrende all’evidenza. Tra gli effetti negativi del processo mediatico, oltre al colpo inferto alla presunzione di innocenza, c’è anche questo: non si smette mai di essere colpevoli, non si finisce mai di essere sotto osservazione. Per fortuna, Amanda vive lontano da qui, lontano dai riflettori dei media italiani. Ma le scuse gliele dobbiamo ancora tutte.