Un detenuto ha il diritto di ricorrere all’eutanasia? In Svizzera, dove l’eutanasia è legge, si sta discutendo di questo alla Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia.

«Al momento ho la sensazione che la Giustizia voglia semplicemente impedire che qualcuno muoia in prigione», dice un supervisore in uno studio del Fondo nazionale svizzero per la scienza, come ha riportato ieri un articolo del quotidiano svizzero Nzz, che si occupa di descrivere un dilemma con cui le autorità carcerarie svizzere si trovano confrontate. Le prigioni svizzere sono difficilmente preparate alla morte, anche se l'invecchiamento demografico nelle carceri è molto più avanzato che nella popolazione media, spiega l'articolo.

Ora la Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia intende chiarire le condizioni alle quali l'eutanasia nelle carceri dovrebbe essere concessa. Il Centro svizzero di competenza per le correzioni sta preparando un documento di base su questo tema. Negli ultimi anni si è prestato attenzione alla creazione di reparti speciali per i detenuti di età superiore ai 60 anni, tuttavia non esiste ancora nessuna prigione attrezzata per permettere ai detenuti la possibilità di morire con l'aiuto delle organizzazioni per l'eutanasia. Proprio l’anno scorso, tale tema, era ritornato alla ribalta grazie a Peter Vogt, 68 anni, rinchiuso a vita nel carcere di Bostadel, nel canton Zugo, con un’accusa infamante: pedofilia.

Ha già scontato 14 anni e starà dentro per sempre perché considerato pericoloso. Aveva chiamato la televisione svizzera per fare un appello: «Voglio morire - ha detto -, chiedo l’aiuto al suicidio, ho il diritto di morire». Un diritto che, secondo il giurista Benjamin Brägger, segretario del Concordato sull’esecuzione delle pene e delle misure della Svizzera centrale e del Nord Ovest, gli andrebbe concesso. «Le carceri dovrebbero consentire l’aiuto al suicidio, avere due- tre celle utilizzabili per questo, - aveva riferito al quotidiano svizzero Caffè Brägger -. Chi è capace di discernimento ha il diritto di decidere della sua morte». Vogt è il primo detenuto in Svizzera a chiedere l’eutanasia.

In sostanza, se un detenuto soddisfa le normali condizioni per l’assistenza al suicidio, dovrebbe poter beneficiare degli stessi criteri applicati per le altre persone. Anche se c’è poi chi replica che per chi è in carcere questa sarebbe una sorta di scappatoia, un modo per sfuggire alla punizione. Non solo. Il rischio è che i detenuti a lungo termine potrebbero venire sottoposti ad una sorta di pressione sociale, visto che se ricorrono al suicidio assistito la comunità risparmierebbe un sacco di quattrini. Dal punto di vista legale non è ancora chiaro se e come si potranno gestire questo tipo di richieste.

La conferenza dei giudici cantonali e dei direttori di polizia sta discutendo di questo.

Intanto, chi conosce bene il tema e l’ha più volte affrontato incontrando i detenuti è Alfredo Díez, teologo della Chiesa riformata del canton Zurigo, che ha avvertito: «È pericoloso dare un tale diritto ad un carcerato. Lo stato psicologico di un detenuto è diverso da quello di una persona che gode della sua libertà. È evidente che una decisione del genere è presa sull’onda delle emozioni. E chi è rinchiuso a vita è in una situazione di estrema vulnerabilità».

Certo, resta da chiedersi che qualità di vita ha chi è consapevole di restare per sempre dietro le sbarre. Si può dire degna una vita di questo tipo? In Italia esistono ad esempio gli ergastolani ostativi, ovvero a vita. Ne sa qualcosa l’ex ergastolano Carmelo Musumeci, che fu il promotore di una lettere firmata da 300 ergastolani e rivolta al presidente della Repubblica dicendo di essere stanchi di morire un pochino tutti i giorni e chiedendo che la loro pena dell’ergastolo fosse tramutata in pena di morte.