E’ quasi certo che nessun cultore dei romanzi di Maigret si risentirà se alla versione letteraria sovrapponiamo il nostro amato Gino Cervi. I sui baffi, la sua pipa, i suoi quadretti domestici con la moglie interpretata da Andreina Pagnani: per intere generazioni è stato l’emblema di come il delitto, il reato, la colpa siano limitrofi alla più banale vita quotidiana. Georges Simenon pubblica il primo racconto con protagonista il famoso investigatore parigino nel 1929 ed è subito un successo, replicato in circa cento tra romanzi e racconti.

Oggi la Francia si appresta a festeggiarlo, rieditando tutte le sue opere e producendo un nuovo film con Maigret protagonista: a interpretarlo Daniel Auteuil, regia di Patrice Leconte. L’occasione è doppia: il 2019 sono anche i 30 anni della morte dello scrittore. Nato il 13 febbraio del 1903 a Liegi, dove intraprende la carriera di giornalista, si trasferisce a Parigi negli anni Venti, scrivendo decine e decine di libri, molti dei quali sotto pseudonimo. Se si fanno un po’ di calcoli viene fuori che Simenon, con o senza Maigret, è stato tradotto in cinquanta lingue e in quaranta Paesi, per una somma di settecento milioni di copie.

Ma è con Maigret che ottiene il più grande successo, conquistando un pubblico di lettori trasversale, perché trasversale è il suo stile che mescola alto e basso, colto e popolare. Fin da subito il suo obiettivo non è la letteratura colta, ma il romanzo d’appendice, il giallo, i grandi numeri che gli regalano anche l’agiatezza economica. Simenon si trasferisce dal Belgio alla Francia, dalla Francia agli Usa, per morire a Losanna nel 1989 a causa di un tumore al cervello. Diceva di aver avuto migliaia di donne, non era certo un uomo fedele come invece lo era il suo investigatore con la pipa.

A distanza di tanti anni e di un successo che sembra non finire mai, ci viene da chiedere quale sia il suo segreto, che cosa ancora oggi ci conquista del suo personaggio- icona. Maigret non è un semplice investigatore e non sognatevi di paragonarlo a Sherlock Holmes per l’uso della pipa. Un indizio non è una prova, men che mai in questo caso. Perché il successo di Simenon è tutto nello stravolgimento che compie rispetto al “giallo” anglosassone: non si chiede chi sia l’assassino, ma che cosa ci sia dietro il suo gesto, quale siano le ragioni che conducono al reato. Lo scrittore francese Pierre Assouline parlando della riedizione dei libri di Maigret in Francia ha detto: «Dovrebbero essere pubblicati con una fascia con su scritto: la condizione umana… e pazienza se il titolo esiste già». Il riferimento è al romanzo di André Malraux, ma il suggerimento è non solo suggestivo, ma puntuale: l’esatta fotografia del valore delle investigazioni di Maigret. Non la ricerca a tutti i costi di un colpevole, non i colpi di scena che partono dal presupposto che tutto sia corrotto, che tutti siano assassini senza presunzione di innocenza. Il mondo descritto da Simenon è sottilmente diverso, tragicamente diverso: è la descrizione di un luogo in cui il male non è lontano dal bene, non perché tutto è marcio, ma perché il confine è sottile, il buono e il cattivo si mescolano. All’autore non interessa la ricerca del colpevole, del capro espiatorio, interessa capire la società, gli esseri umani, chi siamo noi, tutti noi. Sarà, forse, una forzatura ma non si può non paragonare questa attenzione alla condizione umana nella sua complessità, a ciò che siamo diventati oggi: la ricerca spasmodica di un colpevole, la sua condanna senza processo, l’idea di una colpa ineluttabile che nessuna espiazione potrà mai lenire.

E’ il vulnus del processo mediatico, del giustizialismo, della cultura che vede nella punizione non l’occasione per una rieducazione, per un cambiamento, ma l’occasione mancata per buttare per sempre la chiave. L’esatto contrario di Maigret, del nostro Maigret, interpretato in maniera magistrale da Gino Cervi: lo stesso Simenon ammise che di tutti gli interpreti era quello che più si avvicinava all’idea che lui aveva del personaggio.

Lo sceneggiato italiano era diretto da Mario Landi, che a un certo punto iniziò a comparire fugacemente in scena come faceva Alfred Hitchcock. Durò quattro stagioni dal 1964 al 1972 e tra i delegati alla produzione per la Rai c’era niente meno che Andrea Camilleri, che partecipò anche alla stesura della sceneggiatura. In tutto 35 puntate per ascolti che ancora oggi sono record: l’ultima catturò davanti al piccolo schermo 18 milioni di persone, quando ancora la tv non era in tutte le case. Quell’anno anche Simenon decide di lasciar riposare il suo personaggio e manda alle stampe l’addio Maigret e il Signor Charles. In Italia l’ultima puntata è Maigret in pensione: Gino Cervi, ormai troppo anziano per continuare le sue inchieste, nella scena finale stappa una bottiglia di vino. È l’inizio per lui di una nuova vita, per noi il monito che dietro un giallo c’è sempre la vita, cioè noi.