«Si sta scrivendo un nuovo capitolo della storia globale proprio sotto i nostri occhi, uno in cui le civiltà asiatiche e occidentali, i continenti americano ed eurasiatico giocano tutti dei ruoli estremamente importanti» . Interdipendenza e multipolarità: questa la doppia direttrice su cui si attesterebbe il nuovo ordine mondiale del XXI secolo, esemplato, dopo l'egemonia europea e americana dei secoli precedenti, sull'incontrovertibile ascesa dell'Asia, come argomentato nelle pagine del nuovo saggio di Parag Khanna, Il secolo asiatico?, pubblicato in Italia da Fazi Editore con la traduzione di Thomas Fazi.

Direttore dell'Hybrid Reality Institute ed ex consulente di Obama per la politica estera, lo studioso di origini indiane, attualmente residente a Singapore, è autore di caratura internazionale e una delle voci più importanti a livello mondiale nel campo della geopolitica.

Parag Khanna, quali fattori hanno determinato la multipolarità dell'Asia, in contrasto con l'unipolarità dell'Occidente? Potrebbe aspirare, essa, a un modello di auto- sufficienza?

La multipolarità asiatica è un fatto storico in quanto, stante il vasto territorio geografico e la diversità di civiltà che lo abita, nessuno popolo, a eccezione dei Mongoli più di 700 anni fa, ne ha rivendicato il dominio, e anche tale dominazione è stata di breve durata. Nel XX secolo il Giappone ha provato a mirare alla sua conquista ma ha fallito. L'Asia è semplicemente troppo grande, frammentata e diversificata per essere dominata da qualcuno. Essa avrebbe rappresentato anche in passato, come oggi, un sistema di economie e società complementari; ai giorni nostri, infatti, gli Asiatici intrattengono commerci più fra loro che con il resto del mondo. Poiché l'Asia rappresenta un consumatore di così ampie proporzioni, non potrà mai essere del tutto auto- sufficiente, ma è ora molto più vicina a questo obiettivo di quanto lo fosse un tempo.

Più della guerra dei dazi e di casi controversi come quello della Huawei, lei afferma che gli Stati Uniti intendano rallentare iniziative di rinnovamento indutriale cinese come quelle denominate “Made in China 2025”. Con quali esiti, a suo avviso?

È ormai troppo tardi per fermare “Made in China 2025” in quanto la Cina ha ormai compiuto inequivocabili passi in avanti nella creazione e nell'innovazione in ambiti cruciali come robotica, produzione additiva, energia solare, intelligenza artificiale e via discorrendo. Più gli Stati Uniti cercano di isolare la Cina e aziende come ZTE e Huawei, più il governo cinese accelererà “Made in China 2025” al fine di ridurre la dipendenza della Cina dalle importazioni.

Attraverso lo sviluppo di valuta basato sulla blockchain technology, la Cina potrebbe riuscire a eludere le sanzioni sul commercio imposte dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti?

Sì, e ci sono prove che ciò stia già avvenendo con l'Iran e forse anche con la Corea del Nord. È il segno di come ci stiamo evolvendo non solo verso un mondo governato da differenti valute quali dollaro, euro, renminbi e yen ma anche verso uno scenario tecnologico di cripto- valute che non possono subire il vaglio di alcun controllo centrale.

Crede che la BRI ( Belt and Road Initiative) cinese rappresenti un'intrusione neocoloniale, come affermano gli Stati Uniti, in ciò appoggiati anche dall'Unione europea – nonostante l'Italia, primo dei Paesi del G7, abbia firmato il 23 marzo il Memorandum commerciale – o è espressione di una naturale predisposizione cinese per il commercio ad ampio raggio?

Può apparire come un'iniziativa neocoloniale ma non costituisce, a conti fatti, un nuovo genere di imperialismo. In questo ambito la Cina si sta muovendo sulla difensiva alla ricerca di percorsi alternativi che le consentano di importare merci di prima importanza ed evitare il “Malacca Trap” mentre sta esportando le sue eccedenze di metallo e altri materiali necessari per la costruzione di nuove infrastrutture verso Paesi che ne hanno disperatamente bisogno. Ciò conduce inevitabilmente ad alcuni casi di “debt traps”. Tuttavia, nel lungo periodo, Paesi come Pakistan, Uzbekistan e Myanmar potrebbero utilizzare le infrastrutture cinesi per creare lavoro, diversificare le loro economie, aumentare i loro tassi di crescita, attrarre maggiori investimenti internazionali e, in ultima analisi, diluire la predominanza cinese all'interno delle loro economie. L'Italia è stata saggia ad aderire alla BRI: la Germania e la Francia hanno già solidi legami commerciali con la Cina e l'I- talia adesso può inserirsi nello stesso percorso. nL'ampliamento dei porti del Mediterraneo porterà difatti benefici ai commerci dell'Italia tanto con i suoi stessi vicini europei quanto con potenze asiatiche come l'India. Lei ha evidenziato come l'Asia sia più del cortile della Cina. Pensa che la parabola ascendente cinese possa a un certo punto arrestarsi, cedendo il posto ad altre regioni asiatiche? L'economia cinese sta già decelerando e la sua popolazione ha raggiunto l'apice. Al contempo, l'India sta crescendo, il Sud- est asiatico attira più investimenti della Cina e la Russia, il Giappone e l'Australia sono parimenti pilastri del sistema asiatico. Ciò detto, la Cina non sarà sostituita da un'altra potenza asiatica: continuerà ad imporsi invece il sistema multipolare asiatico.

Come dimostrato dai crescenti investimenti occidentali in loco, è ora l'Occidente a produrre per l'Asia? Abbiamo riscontrato come in misura sempre maggiore le aziende occidentali dipendano dai ricavi derivanti dagli investimenti in Asia. Dato che l'Asia rappresenta il 40% dell'economia mondiale e registri i più rapidi tassi di crescita, ciò è in realtà un processo abbastanza naturale. Non si tratta dell'Oriente che si sostituisce all'Occidente, ma di un'opportunità per l'Occidente stesso. I primi dieci detentori stranieri di riserve in dollari sono tutti Paesi asiatici, mentre i fondi asiatici sono essenziali per garantire il debito a lungo termine necessario a finanziare il rinnovamento delle infrastrutture statunitensi. Sono cambiati gli equilibri di potere tra Asia e Stati Uniti? Si tratta semplicemente di un'evoluzione nella divisione del lavoro. I risparmi asiatici hanno finanziato i bassi tassi d'interesse americani ma, in questo momento, gli asiatici stanno anche rimpatriando capitali da impiegare nei loro cospicui investimenti in loco, diversificando per cercare di ottenere rendimenti migliori e spostando le loro riserve valutarie per migliorare gli scambi finché continueranno a commerciare più con la Cina che con l'America. L'Asia può continuare a finanziare il debito americano; al tempo stesso, le casse pensionistiche americane intendono, con grande determinazione, investire nella liberalizzazione dei conti capitale in Cina per poter poi beneficiare di maggiori rendimenti dagli asset cinesi.

Il crescente volume commerciale fra i Paesi del GCC ( Gulf Co- operating Council) potrebbe portare a un completo sganciamento del petrolio dal dollaro?

Cr edo che ci stiamo sicuramente dirigendo verso un petro- renminbi in termini di prezzo del petrolio, almeno per quanto attiene alla Cina agganciato al renminbi. Ciò non comporta nel breve termine la fine del petro- dollaro quanto, in realtà, una diversificazione della tariffazione valutaria. Si assisterà anche all'affermazione del petro- euro, ne sono certo. Per quanto riguarda invece la Russia, l'appoggio dato all'Iran e alla Siria e l'avvicinamento alla Cina rappresenterebbero spie di una sua maggiore asianizzazione? La Russia sta lottando soprattutto per mantenere la propria rilevanza in Siria, pur avendo sostenuto con successo il regime di Assad. L'Iran non è uno Stato debole o prossimo alla rovina, quindi la sua relazione con la Russia è maggiormente modellata sulle sue proprie convenienze. Come affronterà l'Asia la sfida dell'automazione? L'Asia resta la fabbrica del mondo e la maggior parte dei nuovi posti di lavoro creati nell'industria manifatturiera sono siti nel Sud- est asiatico e nell'India. L'Asia possiede tre zone industriali fondamentali, includendo anche il Nord- est asiatico – ovvero Cina, Giappone e Corea del Sud. Al tempo stesso, il numero di posti di lavoro creati in campo industriale non sono tanti quanti quelli registrati negli anni ' 70 e ' 80 del secolo scorso, ma bisogna anche ricordare che gli asiatici hanno transitato verso un'economia dei servizi basata sul consumo urbano, così da non dover più dipendere dal lavoro industriale – in corso di automatizzazione – quanto la generazione precedente. Ritiene che, al fine di evitare un possibile disastro ambientale, la regione asiatica debba sviluppare una maggiore coscienza ecologica? Decisamente. Non è presente in Asia una diffusa coscienza ecologica e un'attenzione condivisa alla sostenibilità ambientale che possa schiudere la strada al trasferimento di tecnologie pulite attraverso tutta la regione. Penso che questa dovrebbe diventare la priorità principale dell'Asia.