L’Italia è ferma, i cantieri sono bloccati, il lavoro non è al centro della politica economica. Il governo sbaglia, deve cambiare, ma è sordo alle sollecitazioni del sindacato. «Però così si va a sbattere», ammonisce Annamaria Furlan: «E dopo otto anni di crisi, con tanti sacrifici fatti dai lavoratori, è un risultato che non può essere consentito a nessuno». La segretaria generale della Cisl è preoccupata dalla crescita zero e spiega: «E’ pronta una stagione di mobilitazione e lotte. In primo piano il Sud. Sarà un crescendo. Di iniziative, di manifestazioni, di scioperi. Finché il governo non capisce che deve cambiare politica altrimenti andiamo a sbattere». Annamaria Furlan, segretario generale Cisl, ti guarda dritto negli occhi con la determinazione di chi sa che l’incubo recessione si sta materializzando e non riesce ad accettare la sordità di chi dovrebbe agire e non lo fa. Ecco, segretario, a proposito di rumori: se lei mette l’orecchio a terra che battito profondo del cuore del Paese avverte? Il battito dell’Italia bloccata. Della crescita zero. Del fatto che nonostante tutti questi segnali ormai diventati certezze, il problema del lavoro e quindi dello sviluppo e dunque del vero diritto di cittadinanza delle persone, rimane sullo sfondo, non diventa una priorità. In questo quadro, non si possono calibrare le possibili misure per incentivarlo. Del resto è stato disarmante vedere l’ultima Finanziaria caratterizzata dalla scelta politica di puntare su quota 100 e reddito di cittadinanza, e non su sviluppo, crescita e lavoro. Non si riesce per insipienza o a causa di una precisa responsabilità della maggioranza? Succede perché la politica non si dedica più a costruire per il futuro. C’è una ossessiva e continua ricerca del consenso quotidiano senza occuparsi di ciò che accadrà al paese e ai cittadini tra uno, due, tre anni. Carenza di lungimiranza... Sì. E si vede anche dal fatto che mentre discutiamo tanto di pochi migranti si trascura il dramma per cui ogni giorno dall’Italia partono tanti giovani per migrare. E’ questo il nostro vero impoverimento: il fatto cioè di non avere la capacità di creare prospettive per il futuro. E quindi coltivare ed alimentare la speranza. E come si interrompe questa emorragia? Portando di nuovo al centro il tema dell’occupazione. Per riuscirci è necessario cambiare la linea economica del governo. E’ davvero sconcertante che dopo aver negato per tanti mesi che fossimo a crescita zero, adesso arriva il Def nel quale si riconosce che l’Italia è ferma ma ciò nonostante non ci si concentra neppure minimamente su come sbloccarla. Solo promesse e dispute elettorali. Segretario, quando lei ha visto quello 0,2 nel Def, quale riflesso è prevalso dentro di lei: guarda questi quante bugie hanno detto, oppure finalmente la realtà ha fatto breccia e si può ragionare? Spero che sia la seconda. Ripeto: spero che sia la seconda. Perché alle volte anche ammettere i propri errori e smettere di negare l’evidenza, può aiutare a cambiare in meglio. Segnali in questa direzione? Nessuno. Tuttavia tante iniziative di mobilitazione e di scioperi di categorie sono sicura aiuteranno il governo a ragionare. Segretario, è un fatto che tanti cittadini, tante categorie sembrano aver riconquistato la voglia di partecipare, smettendo l’abito del disincanto e dell’apatia. Come fa il sindacato a raccogliere questa voglia riacquistando credibilità? Lo può fare favorendo la partecipazione delle persone. Abbiamo avuto uno straordinario successo con la manifestazione del 9 febbraio; lo sciopero generale degli edili è stato decisivo per sbloccare le infrastrutture e so che altrettanto partecipati saranno gli scioperi della scuola e dei metalmeccanici. Ci sarà una grande manifestazione dei pensionati perché il ruolo sociale dell’anziano in questo Paese è distorto: troppo spesso viene utilizzato come bancomat prelevando dalle pensioni per far quadrare i conti. E’ indetta anche una manifestazione della Pubblica Amministrazione. Che va cambiata ma non soltanto attraverso le impronte digitali dei lavorato- ri bensì assumendo e colmando carenze ataviche e strutturali che provocano penuria di servizi per i cittadini e le imprese. Infine ci sarà un’importante iniziativa al Sud. Abbiamo scelto Reggio Calabria non a caso. Del Mezzogiorno sembra se ne siamo dimenticati tutti. Vogliamo partire dai bisogni infrastrutturali ma anche e sopratutto accogliendo la voglia di protagonismo e partecipazione di milioni di donne e uomini. Fattore indispensabile per far ripartire il nostro Paese proiettandolo però nell’Europa. Uno degli errori più significativi in atto è il blocco di tutte le medie e grandi opere. A partire dalla Tav. Ovviamente. Sbloccare i cantieri non solo significherebbe 400 mila posti di lavoro in più ma garantirebbe il collegamento del Nord con il Sud e con l’Europa. Nello scontro sui dazi tra Cina e Usa il vecchio Continente rischia: se non si dota di una struttura federale sarà il vaso di coccio tra quelli di ferro. Perciò la scure sovranista è un bluff? Rispondo così: è una puerile illusione immaginare che ogni singolo Stato europeo possa fare accordi bilaterali e solitari con due colossi di quel genere. Su questo, il banco di prova delle elezioni europee è fondamentale. Lei prima citava quota 100 e reddito di cittadinanza. Sono state due misure, quasi due totem, che hanno impregnato tutta la campagna elettorale finendo per diventare la cifra stessa del “cambiamento”. Il Def dice che porteranno un più 0,1 sul Pil: praticamente niente. E allora? I numeri parlano chiaro. Quota 100 fa crescere zero, il reddito fa più 0,1. Questo non significa che non ci siano bisogni di flessibilità nell’uscita previdenziale o di soccorrere la povertà. Ma la prima e, insisto, fondamentale risposta da dare è la creazione di nuovi posti di lavoro. Di Maio punta sui navigator... Il lavoro non si crea con i navigator. Il lavoro si crea stimolando la crescita. Aver tagliato le risorse per la digitalizzazione, per l’impresa 4.0, per l’alternanza scuola- lavoro, per i fondi alla ricerca è stato devastante. Non aver assolutamente previsto in Finanziaria forti investimenti sull’innovazione è stato un imperdonabile errore. Ripeto: la prima cosa da fare - e non costa perché le risorse sono già stanziate - è lo sblocco delle infrastrutture. Questo gioco continuo a fini elettoralistici che tutto blocca, si sta rivelando un disastroso boomerang. Non la preoccupa il linguaggio dell’odio? Il fatto che il confronto politico e sociale è volto non al dialogo bensì ad annichilire l’avversario? Che mette in difficoltà soprattutto i più deboli? Che ruolo può giocare il sindacato per impedire questa deriva? L’Italia è attraversata dal terrore di tanti penultimi di diventare ultimi. Un sentimento che purtroppo è stato coltivato in molti modi, anche dalla politica. Si alimentano le paure, non si danno risposte a quelle antiche. E ciò ha provocato guasti e un forte attacco alla coesione sociale. Allo stesso tempo assistiamo a stupendi esempi positivi. Penso a Greta, una ragazzina svedese che sul fronte della salvaguardia dell’ambiente da sola ha mobilitato milioni di persone. Pensiamo a Rami e Samir, due ragazzi italiani di origine nordafricana che hanno sventato un attentato e uno sogna di diventare carabiniere: un grande riconoscimento a chi ogni giorno protegge i cittadini. E infine a Simone, il quindicenne di Torre Maura che con linguaggio semplice ed efficace riesce a fronteggiare le squadracce di Casa-Pound. Io credo che dovremmo far tesoro di questi esempi per usare un linguaggio diverso, per cercare di unire le persone mettendo al centro i loro bisogni, per alleviare le difficoltà di chi vive, come dice Papa Francesco, nelle “periferie esistenziali”. Questo per le periferie e gli emarginati. Ma la classe media chi l’aiuta? E’ la flat tax la panacea? La tassa piatta, che poi è un ventaglio di opzioni visto che ogni giorno viene definita e presentata in modo diverso, non è affatto la ricetta giusta. Non risponde per nulla ad un bisogno essenziale che è quello di far pesare meno, di alleggerire la tassazione sul lavoro. L’ 85 per cento degli azionisti dell’erario italiano sono i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, i pensionati e le pensionate. Il tema di discussione vera deve essere per prima cosa far pagare davvero le tasse agli evasori fiscali e poi rendere più pesanti le buste paga e le pensioni degli italiani anche per agevolare e sostenere quel 75 per cento delle nostre imprese che producono per i consumi interni. Ma al presidente del Consiglio tutte queste cose gliele dice via mail come pare lui abbia chiesto o riuscite a parlarvi di persona? Con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte abbiamo avuto tre incontri dal momento del suo insediamento. Il primo nelle vicinanze del Natale scorso: prima non c’era stato alcun incontro. In quell’occasione abbiamo illustrato con grande chiarezza le nostre preoccupazioni ma soprattutto le nostre proposte. Che non abbiamo però visto minimamente considerate nella legge Finanziaria. Lo abbiamo poi nuovamente incontrato prima della nostra manifestazione unitaria, ma anche in quella occasione il risultato è stato pressoché nullo. Infine ci siamo visto nel giorno dello sciopero generale dei lavoratori edili. Anche in quella circostanza abbiamo illustrato con chiarezza la nostra piattaforma. Il premier la conosce bene. Qualche tavolo di confronto è stato effettivamente aperto. Ma non ha finora portato ad alcun risultato. Non credo che serva ridire sempre le stesse cose, pur ribadendo la nostra continua disponibilità al confronto. Oggi è il momento del fare. I tavoli aperti devono funzionare, devono andare avanti e produrre risultati sulla base di obiettivi condivisi per dare finalmente e sul serio un futuro all’Italia.Da parte nostra sarà un crescendo di iniziative, di manifestazioni, di scioperi. Proprio perché il governo finalmente capisca che o cambia la sua politica economica e sociale oppure porta il Paese a sbattere. E dopo otto anni di crisi economica, di tante sofferenze e sacrifici di uomini e donne del nostro Paese, questo non può essere consentito. A nessuno.