Il Gom è «una eccellenza assoluta nel panorama delle forze di sicurezza, una task force che rappresenta una risorsa preziosa nel sistema della giustizia e per la sicurezza del Paese. Il mio impegno sarà costante per garantire condizioni di lavoro adeguato». Lo ha detto ieri il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, al ventennale della costituzione del Gruppo operativo mobile (Gom) celebrato con un evento che ha offerto l’occasione per ripercorrere la storia di questo reparto del Corpo della Polizia penitenziaria. Il Gom, tra i vari compiti, si occupa della vigilanza e dell’osservazione dei detenuti sottoposti al regime carcerario speciale ( 41 bis), di detenuti ristretti per reati di terrorismo e di quelli che collaborano con la giustizia. Gli agenti del Gruppo, nel tempo, hanno assunto la gestione di diversi esponenti della criminalità organizzata. Il numero complessivo di questi ultimi è di 752 ristretti in regime di 41 bis, 7 islamici e un collaboratore di giustizia. Ad aprire la giornata celebrativa, i saluti del direttore del Gom Mauro D'Amico: «D’acqua ne è passata sotto i ponti, ma l’attenzione non è scemata, né si può dire che sia esaurita la “ratio” che determinò la nascita del Gruppo. Basti pensare che dal 1999 sono stati gestiti dal reparto, complessivamente, 1.945 ristretti in regime speciale ex articolo 41 bis».

Il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi ha definito gli agenti del Gom «nostri collaboratori: lo svolgimento della pena dovrebbe avere la stessa importanza e la stessa attenzione della celebrazione dei processi. All'Ucciardone si brindò nel ‘ 92 sia per la strage di Capaci che per quella di via D'Amelio: come facevano a sapere in carcere cosa sarebbe accaduto? Questo lo dobbiamo ricordare, quando parliamo dell'importanza del 41 bis. Il migliore ringraziamento al Gom lo esprimo con le parole di un detenuto da poco al 41 bis: “Tutto sommato mi trovo bene, perché il personale è molto più professionale”. Ci dicono spesso che abbiamo la peggiore criminalità organizzata, aggiungo io che abbiamo la migliore polizia penitenziaria del mondo». Secondo il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, il «41 bis è uno strumento necessario e indispensabile per la lotta alle mafie. I vertici delle organizzazioni criminali lo temono oggi come allora».

Il procuratore aggiunto vicario della Dna, Giovanni Russo, tra gli applausi, ha proposto per il 41 bis «la definizione di carcere sicuro, perché rende sicura anche la comunità. Si tratta di un pilastro della lotta alla mafia». Per il capo del Dap Francesco Basentini, «ci sono alcuni segnali che lasciano presagire un futuro complicato per l’istituto del 41 bis, che oggi è applicato in maniera parziale, a causa di diversi fattori. Penso ad esempio agli orientamenti giurisprudenziali italiani ed europei, come quelli della Corte di Giustizia. Ritengo che gli organi giurisprudenziali dovrebbero avere piena consapevolezza di cosa sia il fenomeno mafioso. Ci sono delle criticità per quanto concerne l’impermeabilità: aumenteranno le sale per le multiconferenze ma è anche vero che così si permette a tutti i detenuti al 41 bis, attraverso il particolare gergo comportamentale, di poter comunicare all’esterno. Poi alcune strutture detentive non sono oggi in grado di assicurare il divieto di comunicazione, per lo meno tra gli stessi detenuti». E chiude con una proposta: «Si potrebbe istituzionalizzare e rendere sistemico un canale di informazioni tra il mondo delle Procure distrettuali e il Gom, o in generale l’intera amministrazione penitenziaria».

Nel corso della tavola rotonda è stato presentato infine il “pizzino” più antico della storia criminale d’Italia: un fazzoletto di cotone su cui è scritta in bella grafia la “Canzone di Amelia la disgraziata”, una missiva veicolata all’esterno del carcere da un detenuto di spicco della criminalità barese dell’inizio del secolo scorso.