Il caso più assurdo arriva da Genova, e ha spiazzato la Procura prima ancora degli avvocati. Ma in tutta Italia rischiano di contarsi decine e decine di amministratori locali e funzionari pubblici convinti di poter beneficiare della “condizionale” e invece improvvisamente destinati al carcere in virtù della legge Spazza corrotti. Si parla di persone già condannate con sentenza definitiva e in attesa della decisione del giudice di Sorveglianza ( o ancora dell’ordine di carcerazione sospeso) che non potranno avvalersi del più classico dei benefici: la sospensione condizionale con la messa alla prova.

Un terremoto della cui portata è ben consapevole l’Unione Camere penali. «Verrebbe da dire che non c’è alcunché di nuovo sotto il sole», nota l’avvocato Giorgio Varano, responsabile Comunicazione dell’Ucpi, «è da tempo che finisce nel vuoto ogni obiezione mossa dalle difese sull’assurdità di vedere applicate in modo retroattivo modifiche normative in materia di esecuzione penale». Il caso specifico da cui parte l’allarme può aiutare a comprendere meglio la portata del fatto. Un ex consigliere regionale dell’Italia dei valori, condannato in via definitiva, in seguito a patteggiamento, per peculato in uno dei processi per la “rimborsopoli” ligure, attendeva l’ordine di carcerazione sospeso in modo da poter fare appunto domanda di messa alla prova al Tribunale di sorveglianza. Aveva optato per il patteggiamento proprio in vista del beneficio premiale che avrebbero ottenuto. Ma a sentenza già depositata è entrata in vigore la legge cosiddetta Spazza corrotti, che ha cambiato le carte in tavola. E cosa stabilisce di rilevante, quel provvedimento, per chi si aspettava di veder sospesa la pena? All’articolo 4 estende a tutti i reati contro la Pa, compreso il peculato e l’abuso d’ufficio, la preclusione nell’accesso alla condizionale. Cioè si stabilisce che anche per condanne inferiori ai 4 anni, chi ha commesso reati di quel genere non va ai servizi sociali ma in galera, e solo dopo può chiedere la sospensione. Il fatto che quell’ex consigliere regionale avesse patteggiato quando non sapeva che la scelta non avrebbe impedito la detenzione in carcere, ha fatto notare al Secolo XIX il presidente della Camera penale di Genova Enrico Scopesi «è uno degli aspetti che potrebbe minare la costituzionalità» dell’articolo 4 della nuova legge, che «sarà sicuramente impugnata di fronte alla Consulta». Il collega di Scopesi che difende l’ex consigliere in questione ha interloquito con la Procura per segnalare la necessità di considerare la natura sostanziale, visti gli effetti, della modifica introdotta dallo Spazza corrotti, e quindi la necessità di non attribuirle conseguenze retroattive. Ma i magistrati genovesi temono di non poter dare che un’interpretazione rigida, e dunque di non poter impedire che l’ex esponente dell’Idv vada in cella.

Casi simili ce ne possono essere appunto tanti. «Il problema rischia di porsi persino per quei condannati che hanno già fatto domanda al giudice di sorveglianza e attendono la decisione», nota l’avvocato Varano. «In passato mi è successo di fare domanda, per un assistito detenuto, sulla base del decreto per la liberazione anticipata speciale. In sede di conversione il decreto fu rivisto e il diritto che c’era il giorno prima è scomparso il giorno dopo. Quando c’è l’irretroattività», dice con amarezza Varano, «vale il principio tempus regit actum: andrebbe cambiato in cancelliere regit actum, perché se gli uffici avessero fissato l’udienza più tempestivamente, al mio assistito, per esempio, il beneficio sarebbe stato accessibile. E invece oggi come allora si è destinati a scontare almeno un anno di detenzione: è quello il tempo minimo di attesa per essere ricevuti dal giudice di Sorveglianza».

Un paradosso giuridico. Che, come fa notare ancora il responsabile comunicazione dell’Ucpi, poteva essere evitato con una norma transitoria. Non c’è stata. E ora gli avvocati hanno un altro elemento da segnalare come grave di qui a poco, quando si terranno le inaugurazioni dell’anno giudiziario.