Il ministero della Giustizia dovrà sborsare 5.500 euro per risarcire un boss della ' ndrangheta a causa della durata irragionevole del processo. È quanto ha stabilito la sentenza, emessa dalla Corte d'Appello di Salerno, che ha accolto la domanda proposta dai difensori di Luigi Mancuso, gli avvocati Francesco Sabatino e Antonio Pasqua, con la quale è stato chiesto il risarcimento per “l'irragionevole durata” del processo “Genesi” che aveva portato alla sbarra numerosi imputati ritenuti a vario titolo componenti del clan Mancuso di Limbadi e di altre cosche satelliti. Il processo ' Genesi' è durato 14 anni, 4 mesi e 27 giorni ( considerando la sentenza di primo grado), con un ritardo accertato dalla Corte d'Appello, di 11 anni, 4 mesi e 27 giorni. Sì, perché i magistrati hanno riconosciuto il superamento del termine ragionevole di durata del processo stabilito in tre anni, quindi lo Stato dovrà pagare un indennizzo pari a 500 euro per ogni anno o frazione semestrale di anno eccedente il termine ragionevole di durata del processo.

Parliamo di una norma ben specifica, la cosiddetta “legge Pinto”. La questione relativa al diritto di ciascun cittadino di essere parte di un processo celere e garantista ha da sempre interessato il mondo giuridico, inducendo il legislatore a trovare una risposta coerente con il nostro ordinamento e con quello comunitario. Il nodo da sciogliere consisteva principalmente nell’individuare il tempo massimo di durata dei processi che generalmente le autorità giudiziarie sono tenute a rispettare al fine di evitare che la lungaggine processuale si tramuti inevitabilmente in una violazione della sfera giuridica delle parti. Si comprende fin da subito come l’eccessivo protrarsi del processo possa portare a conseguenze del tutto paradossali. Questo principio viene evocato innanzitutto dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la quale ritiene che il diritto alla ragionevole durata del processo fosse connaturato nel concetto stesso di uguaglianza. Sempre in ambito sovranazionale, tale principio viene richiamato anche a Carta dei diritti dell’Unione Europea, adottata a Nizza nel 2000, all’art. 47 espressamente dispone: «Il diritto di ogni individuo a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente ed imparziale, precostituito per legge». La Carta Ue, pertanto, prevede il rispetto di un termine ragionevole, che è tanto più vincolante in quanto si ricordi che la stessa Carta, con la stipula del Trattato di Lisbona del 2008, ha acquisito lo stesso rango dei trattati ed è quindi vincolante all’interno di ciascun Stato membro. Principio che viene richiamato anche dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. In ambito nazionale è la nostra costituzione che con l’articolo 111 dispone che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale», e segue, «la legge ne assicura la ragionevole durata». Ma tale principio costituzionale non era mai stato garantito finché è intervenuta la legge Pinto nel 2012 stabilendo la durata massima del giudizio di primo grado in 3 anni, in 2 anni nel secondo grado e, infine, in un anno nel giudizio di legittimità. Legge che poi è stata raffinata nel 2016 introducendo strumenti preventivi con i quali il privato può far ricorso al fine di evitare l’eccessivo protrarsi del processo di cui è parte.