La Gip archivia, ma apre alla possibilità di far riaprire le indagini grazie all’elemento di novità offerta dai consulenti. Parliamo del caso della morte di Alessandro Gallelli, un 21enne che più di sei anni fa, nel febbraio 2012, si sarebbe suicidato nella cella singola numero situata al centro di osservazione neuro psichiatrica del carcere milanese di San Vittore. Una morte che risultò fin da subito misteriosa, ma sicuramente evitabile come ha stabilito, nel 2016, il tribunale Civile di Milano che ha condannato in primo grado il ministero della Giustizia a risarcire la famiglia del ragazzo.

Secondo il giudice civile, infatti, è apparso “poco chiaro” come il detenuto ( sottoposto a sorveglianza a vista) potesse essere riuscito a portare a termine “l’ingegnoso e laborioso suicidio” in meno di mezz’ora, nell’intervallo fra un controllo e l’altro da parte dell’agente della penitenziaria. In quella cella, secondo il giudice, il 21enne avrebbe dovuto essere controllato 24 ore su 24, ma non fu fatto.

Alessandro era un ragazzo che aveva commesso diverse bravate e aveva una personalità difficile da gestire. L’arresto è scattato quando alla fermata dell’autobus ha palpeggiato il sedere di una ragazza di 16 anni: finisce in carcere con l’accusa di violenza sessuale. Un reato che lo porta alla sezione protetta dei “sex offender”, dove ci sono pedofili o violentatori, ma anche transessuali. Una sezione che serve proprio per proteggerli dalle violenze degli altri detenuti. Alessandro va in escandescenza, rifiuta gli psicofarmaci e quindi viene messo sotto osservazione nella sezione di neuro psichiatria. Completamente isolato, con il passar del tempo si sente vittima di un ingiusto abuso. Lo ha detto anche ai genitori quando sono andati a trovarlo. Il pomeriggio del 18 febbraio si sarebbe impiccato da solo. Non era una cella normale, ma di vera e propria contenzione e già oggetto di un’ispezione nel 2008 da parte del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. Il sospetto che sia stata una cella punitiva troverebbe conferma anche dai genitori del ragazzo quando riferirono un inquietante episodio: «Dopo la morte di Ale, ci sono stati riconsegnati i suoi vestiti in un sacchetto. Erano completamente bagnati. Quando abbiamo chiesto il perché, alcuni operatori ci hanno spiegato che in carcere, in inverno, a volte i detenuti vengono bagnati per punizione con un getto di acqua gelata».

Rimane dubbio anche l’impiccagione: sarebbe riuscito a far passare attraverso piccole aperture delimitate dai fili di ferro una felpa e poi agganciarla alle sbarre per poi farla rientrare dentro e infine usarla come cappio.

La Procura del capoluogo lombardo chiede l’archiviazione del caso come suicidio, ma i familiari del giovane davanti alla Gip Mara Cristina Mannocci hanno chiesto che si effettuino nuove indagini, con l'ipotesi di reato di omicidio volontario. Per i consulenti della famiglia, quella morte «non è compatibile con l'ipotesi suicidaria», ma è «riconducibile a un omicidio mediante strozzamento», con successiva «manipolazione volontaria della scena del crimine». La Gip ha archiviato, ma ha anche spiegato che la nuova denuncia da parte dei familiari per omicidio volontario o preterintenzionale, basata su una recente consulenza medico legale, sarebbe utile per indagare ancora sulla morte di Alessandro.