«Il prefetto, di Lucano, mi ha detto cose che non sono degne di un’istituzione». È un Vittorio Sgarbi infuriatissimo quello che annuncia un’interrogazione parlamentare sul caso di Domenico Lucano, il sindaco sospeso di Riace accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolarità nell’assegnazione dell’appalto per la differenziata. A lui, oggi, tre Comuni della Tuscia - Sutri, Capranica e Oriolo - hanno deciso, con tre azioni distinte, di conferire la cittadinanza onoraria; tre Comuni uniti «da un uomo», spiega Sgarbi, nei confronti del quale la magistratura «ha fatto un’azione politica» che lo accomuna, paradossalmente, «al ministro dell’Interno Matteo Salvini», col quale «vorrei farlo dialogare». Le “accuse” al Prefetto di Reggio Calabria. Poco prima di consegnare la targa a Lucano, il sindaco di Sutri e parlamentare forzista riferisce di un incontro con il Prefetto reggino Michele Di Bari, che gli avrebbe sconsigliato di conferire la cittadinanza onoraria a Lucano. Parole che non vuole svelare totalmente ma di cui, garantisce, chiederà conto in aula. «Il Prefetto mi ha detto molte cose che non voglio dire - commenta Sgarbi al Dubbio - Non aveva una posizione super partes, ma la posizione di chi mi diceva, di fronte alla mia apertura nei confronti di Lucano, di essere prudente. Di fronte ad una relazione della Prefettura che era positiva - aggiunge - sembrava fidarsi più della magistratura. Non mi è sembrato che corrispondesse a quello che la sua stessa Prefettura aveva espresso». Ma in aula Sgarbi cercherà di chiarire tutto: dall’atteggiamento del Prefetto, al fatto che la relazione positiva sia stata tenuta nascosta per lungo tempo, ma anche i motivi per cui il funzionario che ha firmato quella relazione «sia stato trasferito». «Adesso avrò ancora più problemi». Non nasconde la propria riconoscenza Lucano, che più volte si dice felice per il riconoscimento conferitogli dai comuni della Tuscia. Ma non nasconde nemmeno la preoccupazione per i risvolti di questa ennesima celebrazione che, teme, potrebbe costargli un ulteriore attacco. E dopo aver raccontato Riace e la sua rinascita grazie ai flussi migratori, racconta quella che rischia di essere la fine di un sogno, con la chiusura delle scuole, delle botteghe e lo svuotamento di un borgo che sembrava resuscitato e che aveva sfatato l’immagine di una Calabria di cui parlare soltanto per la criminalità organizzata. «Oggi rimane di nuovo una comunità dove c’è silenzio - evidenzia - Voglio capire quale sarà il ruolo dello Stato. Non voglio dire che è stato tutto perfetto, ma comunque avevamo costruito una speranza. Quale sarà il ruolo della Procura, della magistratura, il ruolo dello Stato su Riace? Come si contrasterà di nuovo il condizionamento della criminalità organizzata? La ripopoleranno con tantissimi poliziotti?». Il male peggiore della Calabria, aggiunge, è «la rassegnazione sociale, che fa in modo che le comunità non abbiano futuro. Perché nessuno vuole più pensare o credere che sia possibile fare qualcosa. Spesso si costruiscono degli alibi per dire non è possibile. Riace ha dimostrato che il futuro era presente». L’attacco alla magistratura. L’idea di Sgarbi sembra quasi impossibile: far dialogare Salvini e Lucano. Perché le due azioni politiche hanno qualcosa in comune: l’intervento della magistratura. Che per il deputato di Forza Italia è inammissibile, tanto da evocare un’indagine sui pm. «Essendo l’azione di Salvini e quella di Lucano politiche, l’azione della magistratura è politica - afferma - Era singolare che fossero indagati insieme. Sono due modelli politici coerenti, sui quali la magistratura non deve mettere becco. Non puoi fare un’indagine penale che porta alla distruzione di un modello, perché fai un’azione politica grave e quei magistrati vanno indagati, perché sono usciti dall’alveo delle loro competenze. L’irregolarità è una cosa - aggiunge - fare la carta di identità ad una persona che poi viene uccisa è un merito. Farò un’interrogazione parlamentare su tutto quello che ho saputo. Credo che si tratti del capriccio di un magistrato che vuole avere per forza ragione». Il tentativo di conciliazione. Secondo Sgarbi, Salvini e Lucano dovrebbero parlarsi per recuperare il modello calabrese, «che funziona», afferma. Un’idea nata nel giorno in cui, in Parlamento, si ricordava il dramma delle leggi razziali, fenomeno non molto distante dall’odio di cui, oggi, sono vittime gli immigrati. «Cacciare le persone perché non sono italiane è equivalente a perseguitare gli ebrei perché sono ebrei - evidenzia - Se pensi che uno di Riace che non c’è più sia meglio di un nigeriano che è lì perché quel posto era vuoto allora sei pazzo, non è che l’umanità ha geni diversi». Ma se c’è un partito dell’odio - «e l’odio funziona, perché può creare effetti di profonda coesione» - la risposta sono amore e dialogo. Anche tra due persone che si sono dimostrate completamente agli antipodi. «Lucano - aggiunge Sgarbi - non ha fatto tutto questo per candidarsi e questo lo ha detto. Quindi perché si è mosso e si muove in questa direzione? Per ragioni umanitarie». La cittadinanza onoraria. Per spiegare le ragioni che lo hanno spinto a conferire la cittadinanza onoraria a Lucano, Sgarbi usa le parole utilizzate da chi ha intentato «l’azione contro Lucano», cioè l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti. E cita, infatti, la relazione a lungo censurata da parte della Prefettura di Reggio Calabria, consegnata a Lucano soltanto dopo la denuncia dello stesso alla Dda. Una relazione che, a dispetto della prima, dalla quale è nata l’indagine che oggi lo vede coinvolto, restituisce a Riace i colori che la narrazione degli ultimi 20 anni non le ha mai negato. «Dato che usiamo le parole della Prefettura - ironizza Sgarbi - dovrebbe essere Salvini a consegnare questa onorificenza». Riace, scrivevano i sei ispettori, ha inventato un modo per non morire, per ricominciare a fare. E Lucano, spiegavano, «ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita», in una realtà «che non appartiene alla storia del paese ma che ha realizzato mattone su mattone, con fatica e impegno». Impossibile, avevano evidenziato anche loro, «un controllo ferreo di tutte le attività svolte». Servono, dunque, degli interventi correttivi. Ma con un’azione «di supporto», non chiudendo tutto, perché, giurano, «l’esperienza di Riace» è importante «per la Calabria e segno distintivo di quelle buone pratiche che possono far parlare bene di questa regione». Parole che, però, sono state tenute nascoste a lungo.