Il Novecento non solo lo ha raccontato in uno dei più bei film della storia del cinema italiano, ma lo ha rappresentato, incarnato, vissuto, reso cinema. Bernardo Bertolucci, morto ieri all’età di 77 anni dopo una lunga malattia, era questo, è stato questo. E’ questo: lo spirito del Novecento, le sue spinte al cambiamento, le sue rivoluzioni, i suoi protagonisti e la sua immensa, soprattutto se guardata col senno dell’oggi, cultura, sensibilità, conoscenza. Sì, con Bertolucci si ha la sensazione che si chiuda in maniera definitiva, categorica, triste, la storia di un secolo che ha portato grandi trasformazioni, in cui si credeva, ci si credeva davvero, che la cultura potesse cambiare il destino della società e dei singoli.

La sua vita è un film. Nato a Parma nel 1941, il padre è il famoso poeta Attilio, la cui passione per i versi contagia entrambi i figli, Giuseppe e Bernardo, anche quest’ultimo infatti esordisce con un libro di poesie. A vent’anni si reca a Parigi, la Nouvelle vague è appena esplosa e si fa contagiare da quel fervore che attraverso le immagini anticipa l’incedere del movimento studentesco. Godard, Truffaut, Chabrol lo dicono prima, lo dicono con forza: basta col cinema di papà, basta con la tradizione, vogliono la rivoluzione. Bertolucci li osserva, si fa contagiare. La sua strada è segnata. Ma, come tutta la sua carriera, la via non è lineare: è contorta, un su e giù continuo, uno sperimentare nella contraddizione. Il suo esordio avviene infatti nel segno di una sorta di “padre nobile”, anche se un padre speciale, unico: Pier Paolo Pasolini. Amico del padre, abitano nello stesso palazzo e Ppp lo sceglie per fare da assistente al suo primo film, L’accattone.

Racconta Bernardo: «Gli dissi che non avevo mai fatto l’assistente e lui mi rispose che anche lui non aveva mai fatto il regista». Subito dopo c’è la prima volta dietro la macchina da presa: da un progetto sempre di Pasolini gira La Commare secca ( 1962), ma è con Prima della rivoluzione che dà il via, in maniera decisa, alla sua poetica in cui è centrale l’attenzione per la borghesia, i suoi compromessi, i suoi tabù, le sue speranze, le sue ipocrisie. Seguono Partner ( 1968), Strategia del ragno ( da Borges) e Il Conformista ( 1970) dal romanzo omonimo di Alberto Moravia.

Prima di andare avanti con il racconto incredibile della sua carriera, fermiamoci un momento. Pensiamo a questo scorcio di secolo e di relazioni. Ci sono il papà Attilio, Pasolini, Moravia, Laura Morante, Laura Betti. E’ tutto un frullare di idee, passioni, contagi. Il cinema, più che mai, si trova al centro della sperimentazione di nuovi linguaggi. Ci sono Antonioni, Fellini, Bellocchio, i Taviani, Cavani, Ferreri. Ognuno con la sua poetica, ma con una caratteristica che li accomuna: la stessa temperie, la stessa voglia di usare lo schermo o la pagina di un libro per uscirne. Non è neorealismo, anzi è il suo superamento, è l’attenzione spostata sui soggetti, sulla dimensione umana e sociale, sull’urgenza di mettere in discussione tutto. La sera si va a cena insieme e si discute, si litiga. Nasce in questo contesto di rotture L’ultimo tango a Parigi.

Il film esce nel 1972 ed è un successo. Con Marlon Brando, Maria Schneider, Jean Pierre Léaud, Massimo Girotti, è ambientato a Parigi ed è famoso e discusso ancora oggi per le scene di sesso. Il film viene censurato e sequestrato nel 1976, Bertolucci viene condannato per offesa al comune senso del pudore. Tornato nelle sale nel 1986, il film è diventato un caso dopo le accuse, confermate dallo stesso regista, di Maria Schneider. L’attrice ha infatti accusato Bertolucci e Brando di averla tenuta all’oscuro della scena di sesso più clamorosa e di aver subito per questo una violenza. Da quel momento l’opinione pubblica si è divisa: c’è chi considera il regista colpevole e L’ulti- mo tango a Parigi un brutto film e chi invece tende a separare i due piani. Il film più trasgressivo e per alcuni versi libertario del regista è diventato, secondo molti, l’emblema della violenza sulle donne, di un cinema sessista oggi travolto dalla battaglia del movimento # metoo. Ma è difficile per chi conosce e ama il cinema di Bertolucci chiuderlo nel ruolo di maschilista. Nel suo cinema c’è il cambiamento e in quel cambiamento anche i mutati rapporti uomo donna.

Questa polemica arriva dopo. In quegli anni, anche se L’Ultimo tango a Parigi è stato censurato, Bertolucci è nel suo momento d’oro. Nel 1976 esce nella sale Novecento, un grande affresco che va dai primi anni di inizio secolo alla seconda guerra mondiale. Il cast è spettacolare. Ci sono Robert De Niro, Gérard Depardieu, Donald Sutherland, Sterling Hayden, Burt Lancaster, Dominique Sanda e gli italiani Stefania Sandrelli, Alida Valli, Laura Betti, Romolo Valli e Francesca Bertini. Due amici nascono lo stesso giorno: uno è figlio dei ricchi proprietari, l’altro è figlio illegittimo di una contadina. La loro amicizia fa da sfondo alla Storia: nel film ci sono la prima guerra mondiale, l’ascesa del fascismo, la seconda guerra mondiale, la lotta partigiana. Ma tutto questo è raccontato sempre attraverso lo sguardo dei protagonisti, attraverso la lotta degli ultimi. E’ famoso l’utilizzo, nei titoli di coda, del dipinto Il quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo.

Prima di arrivare ai grandi successi da Oscar, vale la pena ricordare il film La Luna ( 1979) che racconta in maniera delicata ma coraggiosa un rapporto incestuoso madre figlio. Segue La tragedia di un uomo ridicolo ( 1981) con Ugo Tognazzi e nel 1987 arriva finalmente L’ultimo imperatore, un grande successo internazionale che gli fa vincere ben 9 premi Oscar, tra cui quello come miglior film e migliore regia. E’ l’unico regista italiano ad aver vinto questo riconoscimento. E’la fase delle grandi produzioni internazionali, film molto ben costruiti ma che perdono, nella loro perfezione, quella carica poetica tipica del cinema di Bertolucci. Nel 1990 esce Il tè nel deserto da un romanzo di Paul Bowles, nel 1993 Il piccolo Buddha con Keneau Reeves.

La carica umana e linguistica degli inizi ritorna in parte nell’ultima fase con Io ballo da sola, L’assedio, The Dreamers - I sognatori, Io e te, l’ultimo film realizzato e uscito nel 2012. Sono anni di riconoscimenti ( nel 2007 vince il Leone d’oro alla carriera, nel 2011 la Palma d’oro a Cannes sempre alla carriera), di incontri con gli studenti, di amarezze per le polemiche sull’Ultimo tango a Parigi. Anni di malattia e di vita appartata, di interviste, forse di tanti, troppi ricordi. Oggi che è andato via, ne restano tanti anche a noi, spettatori e spettatrici del suo cinema, ricordi legati ai suoi bellissimi film, alle discussioni e alle passioni che il cinema prima suscitava e oggi forse non suscita più. E’ la nostalgia per un cinema che rendeva vivo il sogno più bello, quello di chi credeva nella rivoluzione.