Il diavolo si nasconde nei dettagli e il Movimento 5 Stelle l’ha scoperto a proprie spese alla Camera, con il ddl Anticorruzione. Dettagli fatti di numeri: i 36 franchi tiratori che hanno votato la norma sul peculato “light”; dettagli fatti di cavilli: impraticabile il ritorno in commissione, perchè l’emendamento è stato approvato dall’Aula, complessa anche la fiducia, perchè - trattandosi di un disegno di legge - bisognerebbe votare articolo per articolo ( e non in blocco con un maxiemendamento, come nel caso del decreto).

L’intoppo alla Camera è di quelli che bruciano: la maggioranza è stata battuta col voto segreto su un emendamento sul peculato presentato dall’ex M5S Catello Vitiello, identico a una proposta di modifica targata Lega e ritirata in Commissione. I grillini sono rimasti spiazzati dal fuoco amico e hanno convocato in tutta fretta prima un vertice del Movimento, poi uno con l’alleato Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte. L’incidente di ieri è «stato fatto per affossare il ddl Anticorruzione. È evidente a tutti che noi non siamo stati, perché non ci nascondiamo con il voto segreto», ha tuonato Luigi Di Maio. Salvini ha provato a minimizzare, parlando di mossa «assolutamente sbagliata» e garantito che «il provvedimento arriverà alla fine come concordato dalla maggioranza». Conte ha tentato di chiudere la lite, garantendo che «si tratta di un incidente di percorso, il governo è assolutamente compatto nella soluzione». E, durante i lavori d’Aula di ieri, il premier, i due vicepremier e il ministro Bonafede hanno presidiato la Camera per evitare nuovi “intoppi”.

Dagli incontri è emerso che Salvini ha capito gravità dello scivolone e per questo ha porto le scuse di rito. Quanto siano sincere, però, è ancora incerto: i leghisti non hanno mai fatto mistero dei loro dubbi sul contenuto del ddl e anche in commissione hanno garantito solo il loro silente via libera.

Per questo i grillini hanno volutamente alzato i toni del confronto: o si approva il ddl Anticorruzione o si va tutti a casa, avrebbero minacciato. Quella della crisi di governo, però, è un’arma spuntata in mano al Movimento 5 Stelle, in discesa negli ultimi sondaggi e zavorrato dalla grana del limite dei due mandati per molti dei suoi esponenti di spicco. Più concretamente, dunque, è necessario salvare il salvabile: un soluzione per eliminare l’emendamento sul peculato va trovata, ha ribadido Bonafede, perchè «non ci possiamo permettere che chi ruba soldi all’ amministrazione pubblica la faccia franca». Il regolamento della Camera, però, non viene in aiuto ai pentastellati, che hanno dovuto gettare la spugna dopo una riunione mattutina. L’unica strada sembra allora quella di rimanere sui binari già impostati: avanti con la normale procedura parlamentare alla Camera ( voti segreti compresi), poi il testo verrà corretto e modificato nella lettura al Senato. Infine, servirà la terza lettura alla Camera per l’approvazione definitiva, e in quella sede l’alleato leghista dovrà garantire il rispetto assoluto dei patti.

Il problema, però, sono i tempi. I 5 Stelle hanno assoluto bisogno di capitalizzare politicamente qualche risultato e non possono permettersi lungaggini. Cassate le richieste delle opposizioni di sospendere l’esame del ddl per discutere della legge di Bilancio bocciata dall’Europa, il presidente Roberto Fico ha garantito ritmi di lavoro serrati. «Se si fanno 3 letture, dovranno essere in tempi record», ha avvertito Di Maio, magari mettendo la fiducia al Senato.

«In maggioranza ora siamo compatti, possiamo approvarlo in un tempo addirittura inferiore rispetto a quello previsto, senza la norma sul peculato», ha garantito Bonafede. «Entro Natale», ha assicurato Di Maio.

Intanto, però, il diavolo è sempre pronto a fare capolino tra i cavilli procedurali.